venerdì 11 marzo 2011

CHARLIE

Sono due mesi che mi segue, il bastardo.
Mi giro di scatto, sicuro di prenderlo alla sprovvista, ma anche questa volta è troppo veloce.
Fa sempre in tempo a nascondersi e io non riesco mai vederlo in faccia.
Forse è un poliziotto, è maledettamente veloce il bastardo. E io non riesco mai a vederlo in faccia.
È da più di due mesi che mi segue e a volte è frustrante.
Anche ora, sento la sua presenza alle mie spalle, mi giro ma non lo vedo. Dev’essere nascosto dietro quelle piante. Per seminarlo entro nell’ascensore, sicuro di fargli perdere le mie tracce. Le porte si richiudono subito dopo di me. Nell’ascensore, con la faccia schiacciata nell’angolo, un uomo ripete velocemente parole incomprensibili a bassa voce come se stesse pregando.
Quando l’ascensore si ferma all’ultimo piano non scende. Si aprono le porte, ma lui continua a ripetere parole basse con voce veloce come se stesse pregando.
Io schiaccio il tasto “terra”.
Nel giro di dieci piani l’ascensore si riempie e si svuota, lui non si muove. E al piano terra, quando si riaprono le porte, siamo di nuovo soli. E lui sta ancora li, nell'angolo, che parla di nascosto.
Premo ancora il tasto 10.
Quando l’ascensore si ferma al settimo piano lui si gira e butta la sua paura addosso ai miei occhi.
Mi afferra con un braccio e mi porta fuori dalla scatola che viaggia tra tetto e sottosuolo.
Pensavo di farcela questa volta, mi dice.
Io mi giro a guardare se il bastardo mi sta ancora seguendo.
Conosco gente che usa le sue paure come una droga, mi dice, adrenalina pura.
Io, dice, sono tra i tanti che provano a superarle.
Mi dice che se anche ci riesce una volta, poi la volta dopo deve ricominciare da capo.
Mi manca l’aria nei posti chiusi,dice.
Quando me lo dice mi sta ancora stringendo con un braccio, all’altezza dello stomaco.
Gli occhi,le sue occhiaie sotto non ci metto quasi niente a catalogarle: nel bagno non si mette a pregare in un angolo quando gli offro qualche tiro di coca.
Gli dico di entrare dopo di me. Gli dico: è meglio, c’è uno che mi segue da quattro mesi.
Non credo sia uno sbirro, ma entra dopo di me, gli dico.
Lui dice: certo.
Poi entra insieme a me.
E tu di che paura soffri? Mi dice.
Io rispondo “nessuna” naturalmente, però conosco uno che gioca con le sue vertigini.
Anche io, mi dice, ma solo quando è ubriaco, scala posti altissimi, dice che le vertigini sommate a quelle della sbornia lo fanno stare in equilibrio. Lo fanno sentire sicuro e concentrato, dice.
Quando scende la sbronza gli è quasi sempre passata, mi dice.

Dopo tre tiri di coca siamo in un bar a bere birra e ogni tanto andiamo in bagno a farne un altro, di tiro.
Questa volta l’ho convinto ad andare a turno.
Anche se credo che per oggi il bastardo abbia già dato.
Non si può mai sapere, penso, è veloce e non l’ho ancora visto in faccia.
Seduti al tavolo mi dice: non ti senti come in “fight club” quando Tyler e Tyler sono in quel bar a bere birra e stanno per dare inizio a qualcosa di fantastico?
Gli chiedo se ha qualche idea.
Ma prima gli chiedo se ha intenzione di lottare fuori dal bar o se ognuno deve picchiarsi per conto suo.
Mi dice:un mio amico lavora in un villaggio turistico sulla costa Smeralda.
Mi dice: un matto, un tipo suscettibile di quelli che quando non trovano un motivo per dare inizio alla violenza se lo inventano.
Mi dice: hai presente Begbie di trainspotting? Dice: immagina se avesse una seria dipendenza dalla cocaina.
Mi dice: ora immagina uno così che ti chiede:hai bisogno di soldi? E poi ti dice: È arrivato uno al villaggio, dev’essere uno importante, sempre pieno d’oro anche quando nuota in piscina, ha un bambino di otto anni che lascia gironzolare spesso da solo. Mi ha detto: Non sa che siamo nella terra dei banditi?Non sa che siamo nella terra dei sequestri?
Ora, riesci a immaginare uno così che ti dice una cosa del genere?
Mi dice: non lo conosci questo tipo, potrebbe a tagliare orecchie per puro divertimento.
Io dico: facciamolo.

Siamo in macchina. Io, Tyler, è così che abbiamo cominciato a chiamarci tra di noi, e il bambino.
L'amico di Tyler, Begbie, ci ha fatto da spalla all’interno del villaggio. Poi il giorno prima del rapimento Tyler, gli ha dato 10.000 euro in contanti che si è fatto prestare. Dalla banca, mi ha detto.
così ce lo leviamo di torno, se sa dove siamo ci sputtana come niente, è imprevedibile, ha detto Tyler.
Io non gli ho chiesto due volte dove ha preso i soldi.
Siamo in macchina e stiamo portando il bambino dentro una fossa che ,bisogna dirlo,è già pronta per lui da qualche giorno. Abbiamo impiegato una settimana per scavarla, sotto la capanna di pietra dove viveva il nonno di Tyler.
sono orfano, mi ha detto Tyler mentre stavamo scavando, mio nonno mi ha praticamente cresciuto, e nonostante avesse bisogno di aiuto per mantenere il gregge, mi ha sempre fatto andare a scuola.
Tyler mi ha detto: l’ho trovato morto sette anni fa.
proprio qui, ha detto, inchinandosi per toccare un punto nel pavimento con un dito.
Poi mi ha detto: non tornavo a casa da un mese, stavo in giro con gli amici. Avevo diciannove anni.
Girava parecchia coca quel periodo tra gli amici, li avevo tutti conosciuti a scuola, ha detto Tyler.
Io ho continuato a scavare, lui mi ha parlato di suo nonno: viveva in questa capanna con le sue pecore da quando era morta la moglie. Scendeva in paese solo per comprare il vino di fratello e qualche provvista.
Era ancora inchinato a toccare il pavimento, Tyler.
Io gli ho detto: alzati.
Poi quando è morto anche il fratello ha smesso di bere, così ha detto Tyler.
La fossa l'abbiamo ricoperta con delle travi di legno lasciando lo spazio per una botola larga abbastanza per una scala e una persona. Prima di chiudere la botola ci siamo fatti una striscia e poi ho fatto finta di buttare Tyler giù nel fosso. Lui si è girato di scatto e mi ha morso un braccio.

Ce l’ho ancora fasciato. Il braccio, ora che siamo in macchina e stiamo portando il bambino dentro la fossa che, bisogna dirlo, è già pronta per lui da qualche giorno.
Come si chiama? Chiedo.
Chi, mi dice.
Il bambino, dico io.
Non lo so e tu?
No.
Buttiamo il bambino dentro il fosso e buttiamo dentro anche un po’ di caramelle e uno spinello che, bisogna dirlo, Tyler ha comprato apposta per lui.
E anche un accendino.
Noi ce ne stiamo al piano superiore per la maggior parte del tempo a tirare cocaina.
Io dico a Tyler che dovremmo andare a prendere un po’ di cibo anche per il bambino.
Lui mi dice: i bambini mangiano solo caramelle.

Due giorni dopo vado in un paese distante 40km, e quando torno, dico a Tyler che forse è ora di farci sentire dai genitori per il riscatto. Ne parlano già sui giornali e in televisione.
Lui mi dice: si vede che non ti ha mai rapito nessuno.

Tre giorni dopo Tyler butta una manciata di caramelle al bambino che ha iniziato a chiamare Charlie.
Poi esce a comprare da mangiare.
Charlie l’ha visto in faccia e ha cominciato a piangere.
Lo odio quando si affaccia dentro la botola con la faccia.
Da solo mentre ascolto i singhiozzi e le urla di Charlie mi chiedo se io e Tyler non dovremmo stare da un’altra parte nel caso qualcuno venisse a cercarci qui.
Prima che Tyler uscisse gli ho detto: non farti seguire.
Gli ho detto di stare attento.
Solo che lui non sta attento e quando torna glielo dico.
Ti sei fatto seguire, gli dico.
Gli dico che ne sono sicuro. Gli dico che ci stanno osservando, me lo sento.
E poi che ci facciamo qui, dico. Che ci facciamo qui con Charlie?
Ci sono i genitori che lo cercano, e ci troveranno, gli dico, ci uccideranno o moriremo in galera.
Gli dico che stanno arrivando.
E questa è solo colpa tua, colpa tua che ti sei fatto seguire,dico.
Tyler aspetta sempre il suo turno per parlare, ma questa volta io lo zittisco con una sassata in testa prima che possa replicare.
Non ti avrei ascoltato comunque, gli dico.
È svenuto. Io apro la botola e dentro c’è il piccolo Charlie che urla e piange.
Sta zitto!- gli dico.
E svuoto tutte le buste di caramelle che trovo nella stanza e tutto quello che trovo nella stanza nella fossa.
Poi prendo Tyler e lo lancio nella fossa. Il bambino non urla più.
Poi scendo, sistemo la scala e richiudo la botola.
Dico: dentro questa fossa non ci troveranno.
Quando si sveglia Tyler non è d’accordo con me. Apre gli occhi.
Io lo vedo perché i miei, di occhi, si sono già abituati al buio.
Ma i suoi no. Si alza e inizia a toccare le pareti con le mani, quando capisce dove siamo leggo la paura nel suo volto. Mi trova d’istinto e mi afferra per la gola, mi sbatte ad una parete e mi dice: che cazzo stai facendo?
Urla: fammi uscire!
Io afferro un sasso e lo colpisco in testa.
Gli dico: non si può parlare con te!

Quando si sveglia il bambino inizia a piangere.
Dice che ha fame e sete. Io scarto due caramelle, Charlie puzza da morire.
Gli metto in bocca le caramelle e mentre penso a quante volte se l’è fatta addosso, gli tocco la testa con un sasso e lui sviene.
Poi penso a quante volte se l’è fatta addosso Tyler, e penso: fra quanto ci troveranno?
Dico: da quanto tempo siamo qui?
Mangio due caramelle e nessuno mi risponde.
Penso che se qualcuno ci avesse seguito forse ci avrebbe già trovato.
Poi penso che forse sono fuori che aspettano che noi usciamo.
Più che altro penso a stare calmo, e che avrei bisogno di una striscia.

Non so quanto tempo è passato, ma ho zittito non so più quante volte i miei due bambini con un sasso sulla testa. Le caramelle cominciano a scarseggiare.
Tyler ogni volta che si sveglia urla paura, io lo faccio stare zitto.
Ma la cosa non mi fa più ridere.
Voglio uscire da qui.Da questa fossa.Il bambino, il più piccolo dei due, Chiarlie, si sveglia e comincia a dire: ho fame. Mentre lo dice si struscia addosso a me come un gatto. Così io prendo il solito sasso e comincio a sbatterlo molto forte sulla testa di Tyler che nel frattempo sta dormendo.
Poi metto una pietra in mano a Charlie e lui, neanche devo dirglielo.
Comincia a sbatterla molto forte sulla testa di Tyler che nel frattempo sta dormendo.
Dopo un po’ a Charlie dico: hai visto anche tu, qua dentro riusciva solo a diventare matto per la paura.
Gli dico: hai visto.
Gli dico che dentro questa fossa Tyler era solo uno schizzato.
E poi alle croste intorno agli occhi del bambino dico: e fuori da qui..era solo una testa di cazzo.
Un bastardo, gli dico.
Lo guardo, Tyler steso a terra in una posizione che non capiresti mai se qualcuno tentasse di spiegartela dopo aver visto qualcuno da lontano steso a terra in quella stessa posizione, guardo la sua testa.
La testa di Tyler.
Mi giro verso Charlie e dico: guarda, non sembra che l’abbiano masticata?
Non smetto di guardarla. Charlie mi si avvicina e mi abbraccia.
Io ringhio per mandarlo via e i miei denti che rimangono attaccati al suo braccio mi fanno pensare a quelli di Tyler il giorno che mi ha morso.
Quando si staccano, i miei denti, ne stanno masticando un pezzo. Di braccio.
E Charlie si è lanciato nell’angolo più lontano da me.
È mentre ascolto da solo i singhiozzi e le sue urla che mi accorgo di avere fame, e allora cerco il coltello che so di trovare dentro la fossa. Anche Charlie ha fame,anche se non lo dice.
Io gli porgo un pezzo di Tyler e smette di piangere, il piccolo.
E il sangue ha un odore che non ti immagineresti mai se stessi guardando la scena da lontano o se te la stessero raccontando.
Lo sentiamo anche se non lo diciamo, io e Charlie, l’odore del sangue, mentre mangiamo contenti.
Come due bambini.
Mangiamo ognuno il suo pezzo di Tyler.
E la cosa mi fa ancora ridere.
Lo allargo, il mio sorriso che sa di specchiarsi negli occhi di Charlie.
Mi chiedo da quanto tempo non mi faccio una striscia. Da quanto tempo non mi faccio una striscia?
Ucciderei per una striscia.


Quando mi sveglio vedo un accendino e uno spinello che bisogna dirlo, sembrano essere li apposta per me.
Ma so che non è così. A Charlie ancora sorrido mentre sfioro la sua testa con il sasso.
Gli lascio lo spinello e l’accendino e dico: Questo però devi fumarlo, sennò poi non è più buono.
Mi dico che lo fumerà. Mi dico: al risveglio comincerà a fargli male il braccio e fumerà.
Apro la botola e la luce del sole mi brucia gli occhi.
Sono in macchina che guido verso casa.
Ai miei colleghi dirò di andare a recuperare il bambino, gli dirò dov’è nascosto e che devono riportarlo ai genitori e dare la notizia alla stampa.
Ai miei colleghi in divisa blu.
Troveranno Charlie.
Troveranno Tyler. Che non era uno sbirro.
Era il bastardo che mi seguiva da cinque mesi.
Ora sono libero, senza quello schizzato che mi spia e pedina ogni mio passo di nascosto.
In macchina, mentre guido verso casa a voce alta mi dico: gli sbirri vincono sempre.

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martedì 8 marzo 2011

CAINO E ABELE


E caino disse all’eterno che il suo castigo era troppo grande perché potesse sopportarlo. Sarebbe stato vagabondo e fuggiasco per la terra e chiunque l’avesse trovato l’avrebbe ucciso.

Quando sentì la sua maledizione, Caino non pensò che i suoi genitori erano i primi uomini creati dall’eterno, pensò che chiunque trovandolo l’avrebbe ucciso.
Quando sentì la sua maledizione Caino fu preso dalla paura di poter morire dilaniato dai freaks di quei tempi, gli Adami ed Eve usciti male, frutto degli esperimenti precedenti dell’eterno.
Gli emarginati della genesi. Gli elephant man, i John Merrick del principio.
In due parole: i dinosauri.
Ma forse a uccidere Caino saranno i suoi genitori. O forse lo stesso eterno.
“sicuramente i miei genitori” pensò Caino.
Eva, sua madre, aveva detto “ho acquistato un uomo con l’aiuto dell’Eterno”, questo dopo aver concepito e partorito Caino.
Caino ora condannato a errar lungi dalla terra, dalla terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di Abele dalla mano di Caino.
L’Eterno aveva detto a Caino: quando coltiverai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti, e tu sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra”. Era così che l’eterno aveva maledetto Caino.
Anni prima Adamo conobbe Eva, sua moglie.
Eva acquistò un uomo. Poi ne acquistò un altro: Abele.
Caino era un lavoratore della terra.
Il Caino precedente era frutto di un esperimento precedente dell’Eterno.
Forse nell’esperimento precedente nulla era andato storto.
Il Caino precedente era un dinosauro molto carino. Ma l’Eterno finì per stancarsi di Ca-r-ino e dei suoi amici dinosauri del paese di Nod.
Così aveva creato i nuovi Adamo ed Eva e così via.
Il nuovo Caino, un essere umano molto carino, essendo un lavoratore della terra aveva offerto all’Eterno frutti della terra. Ma l’Eterno si annoiava già.
Anche quel giorno, come ogni volta che la nube di noia cominciava a soffocarlo, l’Eterno, aveva messo le mani in tasca, aveva afferrato una pastiglia di peccato e l’aveva grattugiata facendola cadere sulla terra come se fosse pioggia.
Il peccato atterrò, rimbalzò, s’insinuò nella mente di Caino.
Abele, fratello dell’essere umano carino, molto Caino, non era un lavoratore della terra.
Abele aveva un gregge di pecore.
Essendo umano, Caino, offrì all’eterno frutti del suo lavoro, frutti della terra.
Abele invece offrì all’Eterno primogeniti del grasso delle sue pecore e primogeniti, delle sue pecore.
Poco dopo il viso di Caino fu abbattuto.
Il viso di Caino scese giù, gradino dopo gradino, Caino dopo Caino, dal cranio di Caino, che rimase senza volto, molto simile a un dinosauro davvero carino.
L’Eterno aveva guardato con favore l’offerta di Abele, primogeniti di primogeniti di pecore primogenite, ma non l’offerta di Caino, frutti della terra.
Per questo il viso di Caino fu abbattuto.
L’Eterno l’aveva fatto per far insinuare, piovere meglio,il peccato nella mente di Caino.
La pastiglia di peccato aveva calato il cervello di Caino. E il viso di Caino era abbattuto.
L’Eterno disse a Caino “perché hai il volto abbattuto? Se fai bene non rialzerai il tuo volto?”
Ma Caino si levò contro suo fratello e lo uccise.
E la terra aprì la bocca per ricevere il sangue di Abele dalla mano di Caino.
Caino si addormentò sotto un albero, a pochi passi dal corpo del fratello, di cui la terra digeriva il sangue, mentre lentamente in lui svaniva l’effetto della pastiglia di peccato.
Eppure l’eterno aveva avvertito Caino: “il peccato sta spiandoti dalla porta e i suoi desideri son volti a te”.
L’Eterno come ogni giorno, il giorno dopo, il giorno dopo che Caino uccise suo fratello, suo fratello Abele, poco carino, dopo che Caino ebbe dormito sotto un albero e dopo che dell’effetto del peccato insinuatosi in Caino non ci fu più traccia, dopo tutto questo, l’Eterno come ogni giorno disse: “luce”. E luce fu.
La luce svegliò Caino e l’Eterno disse a Caino “dov’è tuo fratello Abele?”
Ed egli rispose “non lo so. Son forse io il padrone di mio fratello?”
Rispose stiracchiandosi e tirandosi in piedi, Caino.
E l’Eterno disse “che hai tu fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra.”
Fu allora che Caino guardandosi intorno vide il corpo dilaniato di suo fratello.
Abele, così martoriato, molto simile a un dinosauro poco carino.
Dopo un po’ Caino disse all’Eterno, che nel frattempo aveva continuato a parlare, gli disse “ripeti”.
E l’eterno ripeté quella che era la sua maledizione.
Caino pensò che tutto fosse in qualche modo collegato col mal di testa che sentiva da quando si era svegliato, anche perché era l’unica cosa a cui riusciva a pensare.
E disse all’Eterno “il mio castigo è troppo grande perché io lo possa sopportare. Ecco tu mi scacci oggi dalla faccia di questo suolo ed io sarò nascosto dal tuo cospetto, e sarò vagabondo e fuggiasco per la terra e avverrà che chiunque mi troverà mi ucciderà.”
Allora l’eterno, affinché Caino non potesse essere ucciso dal dinosauro Ca-r-ino, o da un suo simile, disse “chiunque ucciderà Caino sarà punito sette volte più di lui” e prima di lasciarlo andare a vivere come esiliato insieme a Carino e ai suoi amici dinosauri, l’eterno mise un marchio su Caino affinché nessuno trovandolo lo uccidesse.
Fu così che caino con la faccia senza viso e senza faccia, partì per il paese di Nod, il paese dei dinosauri.
Settantamilasettantasette anni dopo, un mezzo dinosauro di nome Lamec, disse alle sue mogli Ada e Zilla, “ascoltate la mia voce”
Lamec, discendente dal sangue del sangue di caino e dal sangue di una dinosaura molto carina, disse rivolgendosi alle sue mogli Ada e Zilla, dinosaure poco carine: “si ho ucciso un uomo perché mi ha ferito e un giovane perché mi ha contuso. Se caino sarà vendicato sette volte, Lamec sarà vendicato settantasette volte”
E così l’Eterno mise un marchio su Lamec, affinché chiunque trovandolo lo mangiasse.

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STANZE DA CESSO (quello del coffee shop)

Stai guardando il fumo tirarsi fuori dalla canna. Poi dalla tua bocca quando smetti di guardarlo: sei seduto sul cesso e stai cagando, il bagno è quello di un coffe shop, in Olanda.
Prima eri seduta fuori, nel cortile: guardavi il fumo uscire fuori dalla canna che stringevi tra le mani, nel mentre un cane girava intorno a un uomo abbaiandogli contro. L’uomo l’aveva guardato, restando immobile, con lo sguardo immobile. Poi aveva piantato un palo per terra ed era andato via.
Il cane era rimasto ad abbaiare contro il palo.
Tu a quel punto avevi detto: avete visto cosa ha fatto?
Ma eri solo e nessuno ti ha risposto. Allora sei andata a cagare. Grazie.
Ora sei nel bagno che succhi dal filtro gli ultimi tiri di joint, poi butti il filtrino nel cesso restando seduto.
Apri la porta per uscire, ma rientri nello stesso bagno.
Fai quello che devi fare e fai che aprire la porta per uscire.
La porta però o si riapre sullo stesso bagno o apre un altro bagno: tu ti siedi sul cesso.
Il bagno ora è quello di un treno, lo sai riconoscere, oltre a saper sentire il rumore del treno: siamo a quando ti cade il biglietto del treno dritto nel buco del cesso quando ti ritiri su i pantaloni dopo aver cagato. E non puoi nemmeno allungare la mano per afferrarlo perché è sparito con un vortice e ora sta sdraiato sui binari.
Svolazzerà al passaggio del prossimo treno.
Siamo a quando ti cade il biglietto del treno nel cesso e il controllore non è ancora passato.
Fai che allungare la mano, afferri la maniglia e la porta che apri apre un altro bagno.
Io neanche te lo devo dire: tu ti abbassi i pantaloni, ti siedi sul cesso, e fai la tua doverosa cagata.
Questa potevi risparmiartela.
Esci dal cesso per cambiare bagno, perché come apri la porta è proprio quello che ti trovi davanti: un bagno.
Ti trovi davanti una donna che è li per controllare che tu lasci 50 centesimi. Quelli con cui ti guadagnerai il diritto di fare la tua gigantesca cagata. Li lanci, i cinquanta centesimi, nel piatto pieno di monete che sta sul tavolo dietro il quale è seduta la donna, che avrà cinquant’anni: la guardi. Lei ti guarda e ti chiede: che rapporto hai con te stessa?
Tu: scopiamo ogni tanto.
Poi vai verso il piccolo bagnetto realizzato in serie che pensi sia stato messo li solo per te. Apri la porta e ti siedi sul cesso. Ti siedi e rifletti: è il posto che preferisci per farlo.
Pensi parecchio, pensi talmente tanto che ti dimentichi di cagare.
Apri la porta del tuo bagnetto personale realizzato in serie, uguale ad altri cinque in quella stanza, e fuori non c’è la donna con cui hai parlato prima ma un’altra: questa controlla se chi entra fa davvero la sua doverosa pisciata.
Ti guarda dritto negli occhi e ti dice: sono qui per la lotta contro le tossicodipendenze, lei ha da dichiarare qualcosa? Tu la guardi dritta negli occhi per tre secondi buoni poi fai che piantare il manico di una scopa per terra, tra le mattonelle. Lei rimane ad abbaiare contro quello.
E tu vai a cagare. Grazie.
Quando poi esci dal bagno, indovina: entri in un altro bagno.
Ti siedi sul cesso, pantaloni abbassati, aspetti che ti venga voglia di farla grande.
Alzi il palmo della mano, con la mano appena sopra le gambe e la muovi lentamente su e giù guardandola.
Con la mente soppesi il peso di una pistola, e come se fosse un sogno, quando lo senti sulla mano sai che è proprio il peso di una pistola. Eppure non ne hai mai tenuta una in mano.
Pensi: se ne sento il peso c’è.
Lo dici a voce alta e ti dimentichi di cagare. Ti alzi, rimetti a posto i calzoni e metti la pistola in tasca.
Ora che fai ammazzi qualcuno?
Con la mano destra apri la porta per uscire e nel bagno dove entri c’è un uomo accasciato a terra con la siringa ancora appesa al braccio. Tiri fuori la pistola dalla tasca, la pesi con la mano, poggiandola sul palmo, poi ne afferri il manico e col dito indice sfiori il grilletto.
Punti la pistola in direzione della sua testa. La muovi, ma di poco, su e giù. Come per sentirne il peso. Sarà distante un metro, dalla sua testa.
Ora che fai lo ammazzi?
L’uomo ha sempre gli occhi chiusi. Per quel che ne sai potrebbe essere morto.
Gli lanci la pistola sopra la pancia e fai che aprire la porta: hai bisogno di un altro bagno perché devi cagare.
Ma quando apri la porta sei di nuovo nel giardino del coffee shop. Ti guardi intorno ma non trovi nessuno. Eri sola anche prima, non te lo ricordi?
Ora mi guardi. Io ti guardo. Mi prendi la canna dalle mani, e vai a cagare prima che io te lo dica.

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venerdì 4 marzo 2011

FAMIGLIA (la famiglia e il viaggio)

Aspettavamo tutti sotto il palco. Quelli più giovani si trovavano tra le prime file. Bambini di due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove anni. I più piccoli li tenevano in braccio le madri, pronte a sollevarli in direzione del palco.
“adesso arriva papà” diceva qualcuna.
C'erano ragazzi di dieci, undici, dodici, tredici anni. Ragazze e ragazzi di quattordici, quindici, sedici, diciassette, diciott'anni. Giovani dai diciannove ai trenta. Erano tutti di diverse nazionalità. Ma osservandoli, potevi notare nei loro volti dei tratti comuni.
Io avevo vent'anni allora. E avevo intorno gente dai trenta ai quarant'anni. Dai quaranta ai cinquanta, ai sessanta. Alcuni erano accompagnati dalle loro madri, persino uomini e donne di quarant'anni.
Aspettavamo tutti sotto il palco.
Qualche curioso si era mischiato alla folla, oppure scrutava da lontano quella moltitudine di persone. I più ne erano impressionati. E non solo fra i curiosi.
Anche per me era forte la meraviglia difronte a tutta quella gente. Osservandoli, più di tutto, mi piaceva scoprire nei loro volti i tratti comuni.
Ma ancora più forte per me, era trovarmi li in quel momento, quel giorno speciale.
Mi chiedevo se fossero venuti tutti. Mi chiedevo che cosa stessero provando in quei momenti. Mi chiedevo se certe cose che avevano caratterizzato la mia vita si fossero verificate anche nelle loro. Ma a loro no, non lo chiedevo. Era forte per me, trovarmi li.
La maggior parte di quelle persone non parlavano la mia lingua. Neanche capivo precisamente da dove provenissero tutti. Alcuni parlavano in inglese tra di loro, per fare conoscenza. Si ponevano domande, tentavano di rispondere. Forse sarebbero persino diventati amici. Li sentivo conversare con la coda delle mie orecchie. Ma io no. Io camminavo e continuavo a osservarli. Non dicevo una parola. Mi ponevo domande. Era forte lo stupore difronte alle persone che mi circondavano.
Nostro padre aveva fatto in modo che i più viaggiassero per arrivare a quell'incontro. Lui aveva girato il mondo nella sua vita. Tra le persone che si trovavano li quel giorno c'era chi proveniva dagli antipodi, di quel posto. Altri in confronto avevano dovuto percorrere solo pochi chilometri. Mi chiedevo quanti avessero voluto percorrerne, di chilometri.
Fu in quel momento che nostro padre salì sul palco. Era vecchio, aveva i capelli bianchi e diradati. Le rughe sul suo volto come le righe sul palmo di una mano. Andai subito a cercare sul suo viso i tratti comuni a tutta quella gente.
Lui afferrò il microfono e parlò in inglese. “do il benvenuto a tutti voi.” disse “non potete immaginare, quale sia la mia felicità nel vedervi così numerosi”.
Faceva freddo, nonostante la bella stagione. Mi chiedevo se ci fosse qualcuno li che non conoscesse l'inglese. Mi chiedevo se avrebbe capito ugualmente.
“vorrei abbracciarvi tutti” disse nostro padre “ma lo farò più tardi, se me lo permetterete. Ora ho alcune cose da dirvi.”
Ci osservò con pazienza. “sono felice di vedere che alcuni di voi siano venuti accompagnati dalle loro madri...e alcune madri dai propri compagni. Desidero tanto parlare con tutti voi. Sapere come siete arrivati fin qua.” osservò le montagne che ci circondavano. Eravamo tutti accampati li intorno. “sapere cosa ne pensate di questo angolo di mondo. Ma ci sarà tempo. Lo farò più tardi, se sarete d'accordo.”
Io ero d'accordo. Ma non lo dissi. Nessuno lo diceva, non forte. Lo sussurravano, lo pensavano, lo davano per scontato.
“ho fatto il giro del mondo” disse mio padre “ci ho impiegato quasi tutta vita. Ho cercato di conoscere, il più possibile, ogni posto in cui sono stato, quanto sentivo di averne bisogno. Ho cercato, il più possibile, di essere presente, in quei posti. E poi ho continuato ad andare. Il viaggio, è il mondo in cui sono stato più spesso” confessò quell'uomo anziano, nel cui volto riconoscevo i tratti comuni ai miei, e nei suoi occhi cercavo ogni luogo in cui si era trovato. Le sue spalle raccontavano dei tempi, i periodi, in cui aveva viaggiato.
“prima di tutto, voglio presentare a tutti voi una persona...lui è Edom. È con lui che vivo. Abbiamo una casa in un piccolo paese a poche ore di distanza da qua. È la persona più cara che ho. E io lo amo.” ci disse nostro padre mentre un uomo magrissimo e alto saliva sopra il palco. Era vecchio, ma il suo corpo continuava a dare l'idea di una perfetta efficienza. Anche mio padre sembrava possedere la stessa dote. Ma era molto meno evidente.
“salve a tutti. Sono estremamente felice di vedervi.” disse Edom sorridendo. E con lo stesso sorriso che pareva fisso dinanzi alla nostra presenza, si sedette in una poltrona che si trovava già sul palco e continuò a guardarci.
“potrete conoscerlo dopo, se lo desiderate.” disse nostro padre.
pensavate di trovarmi con una donna?” ci chiese “magari con una bellissima donna in attesa di un figlio” si fermò e bevve un sorso d'acqua. Si sedette, tenendo tra le mani il microfono.
“mi piacciono gli uomini” disse “mi sono sempre piaciuti.”
C'erano persone che non capivano. Non volevano. Ma nessuno se ne andò, credo. Mi chiedevo cosa si aspettassero. Non sapevo cosa stessero provando in quel momento.
“è vero.” disse nostro padre dal palco “ho fatto l'amore con un gran numero di donne. La maggior parte di loro ha avuto un bambino da me. Ma io, non ho fatto sesso solo con le donne dei posti dove sono passato. L'ho fatto anche con i giovani, i padri, e i mariti. E tornando indietro, lo rifarei ogni volta.”.
Edom continuava a sorridere.
“ho messo in grembo un figlio a tante donne. E poi, ho sempre continuato ad andare, a partire. Il mio desiderio di stabilità aveva sempre una precisa scadenza. Sempre diversa, ma arrivava tutte le volte.”
Molti tra quel pubblico continuavano a chiedersi come avesse potuto fare sesso con delle donne. Non è gay, dicevano. Altri sputavano a caso altre inadatte etichette sessuali. Io non mi facevo certe domande. Non dicevo una parola.
“qualche persona tra di voi, probabilmente sa di cosa parlo” disse nostro padre “ci tengo a dirvi che ho amato ogni donna che ho avuto nel tempo che loro hanno trascorso insieme a me, e il resto del tempo le ho portate tutte con me nel ricordo. Fino a questi posti, dove poi alcune sono arrivate davvero, in questa giornata stupenda.”
Cercavo negli occhi di mio padre tutto quello che aveva provato sino a quel momento.
“riconosco i volti di quelle che sono qui, nonostante il tempo che è passato, e sono riconoscente” disse “ho amato molti uomini durante il mio viaggio. Uomini di qualunque nazionalità, colore, lingua. Ma nessuno di loro è qui oggi a parte Edom. Quest'incontro è destinato a voi.”
Edom sorrideva, continuava a guardarci.
“ho conosciuto e ho amato tanti uomini. E poi, ho sempre continuato ad andare. Il viaggio, è stato il mondo che ho amato per tutta la mia vita. E il mondo, nel viaggio. Conosciuto attraverso i tempi, distinti per i posti, i luoghi, gli spazi.”
“ma voglio dirvi una cosa. Il motivo per cui non voglio più avere figli e il motivo per cui vi ho invitati qui oggi, è lo stesso.”
“avevo voglia di vedervi” ci disse nostro padre. “Ho voluto dare a tutti noi la possibilità di conoscerci. Per questo mi sono impegnato negli ultimi cinque anni per rendere possibile questo incontro. Un incontro che può durare per ognuno di voi, quanto ognuno di voi desidera”. Sorrise. Mio padre, sembrava tenesse in mano il tempo. Con la serenità dei suoi settantasette anni.
Avevo camminato a lungo per arrivare fin lassù. Ero partito da casa tre mesi prima. Avevo salutato mia madre. Avevo salutato la mia ragazza. Avevo attraversato diversi stati. Ma i tre mesi che avevo a disposizione per arrivare mi erano sembrati ogni posto più stretti. I giorni sempre più corti. Le notti, giuste per dormire, di solito.
Avevo incontrato vecchi e bambini, avevo visto i luoghi. Giovani e adulti, avevo provato a conoscerli. Uomini e donne. Di donne ne avevo amato qualcuna. A ciascuna di loro, avevo tentato di lasciare qualcosa dentro. Ognuna di loro l'avevo portata con me nel ricordo. Perennemente intrecciato a quello dei posti dove ero stato. Avevo attraversato diversi stati, tirato da una una data da rispettare e un posto. Un incontro.
Nostro padre aveva fatto in modo che i più viaggiassero per arrivare fino a quel giorno, in quel luogo. Lo aveva suggerito, mi era sembrato, espressamente. Con la serenità dei suoi settantasette anni.
Volevo dirgli quanto fosse bello quello che lui aveva fatto, e quanto fosse bello averci voluto raccogliere in quei giorni, a decine, a guardarci. Volevo ringraziarlo, per tutto quello che mi ha insegnato. Immaginavo le sue giornate trascorse al fianco di quell'anziano magrissimo che ci guardava senza smettere di sorridere. Avrei voluto parlarci. Avrei voluto dirgli quanto averlo come padre mi rendesse felice. Ma più di tutto, in quel momento, sentii il bisogno di partire, che non puoi mai sapere quando, ma arriva tutte le volte.
Come mio padre, il viaggio era il mondo dove volevo andare, e il mondo nel viaggio.

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GERUSALEMME

La mia vicina di casa dimagriva a vista d’occhio. Mia moglie le disse: “ti trovo bene”. Poi le chiese che dieta stava vivendo. Parola sua, “vivendo”, di mia moglie.
La mia vicina di casa le chiese: “che cosa pensi dell’amore?”
“la vita, coglie sempre impreparati” rispose mia moglie, prima di entrare in casa e darmi un bacio sulla guancia come se fossi suo fratello.
Io feci per porgere l’altra guancia, ma lei era già lontana.
“cenerò col mio maestro stasera.” le dissi.
Lei mi disse che avrebbe cenato con A’damo, il marito della mia vicina di casa, e Ròdamo, un poliziotto che il giorno prima aveva cercato di arrestarla.
Mia moglie mi fece giurare tre volte che lei era la mia unica donna. Mentre lo facevo cercai di darle un bacio, ma lei girò la testa dall’altra parte.
Quando uscii di casa, Gesù, che mi aspettava fuori dalla porta, rise e mi disse: “in verità io ti dico, A’damo prima di diventare il marito della tua vicina di casa le aveva detto: come puoi pensare di trovare la fantasia per divertire due persone?”
Gesù rise e disse: “A’damo le aveva detto: come fai ad amare il tuo uomo dopo che ne hai amato un altro? Lei aveva detto: non ho un uomo. E A’damo le aveva chiesto di sposarlo.”
Gesù rise. Io chiesi: “perché ridi Rabbì?”
Gesù indicò la casa della mia vicina e mi disse: “Giuda, guarda.”
Io guardai attraverso la finestra e vidi la mia vicina che piangeva, urlava, si agitava, si alzava,tremava, rideva, saltava, si arrampicava sulle pareti, vomitava per terra.
Io chiesi: “Rabbì, perché fa così?”
E Gesù disse: “potrebbe fare qualsiasi cosa, ma uno spillo, non potrebbe passare per la bocca del suo stomaco.”
Poi rise e disse: “la vita, coglie sempre impreparati.” E io ebbi pena per lui perché, poiché sapeva tutto essendo il figlio di Dio e quindi Dio stesso, gli era negata la possibilità di sorprendersi.
Gesù rise e disse: “Giuda, ti vedo dimagrito”
“Rabbì, ho poco appetito.” risposi. Lui disse: “andiamo a mangiare”.
Andammo in una casa dov'erano gli altri undici apostoli, i miei compagni.
Quando entrai alcuni di loro, a turno, mi fecero le corna avvicinando la mano a quella parte della testa che si fatica a vedere coi propri occhi. Luca mi indicava, e col braccio teso e il dito puntato contro di me urlava: “satana!”. Lo faceva ogni cinque minuti.
Giovanni invece, mi guardò e mi disse: “sei un ladro”.
Io chiesi : “davvero pensi questo di me?”
Lui disse: “quando hai tenuto i soldi della cassa comune ne hai sempre rubato una parte per te!”
“ladro!” mi urlò, e sputò sulla mia faccia.
Io pensai a Gesù. A Gesù che mi aveva ordinato di consegnargli parte del denaro comune, il denaro della cassa. Gesù, che mi aveva chiesto di non dirlo a nessuno. Gesù, che aveva detto che un giorno mi avrebbe spiegato tutto. Lo guardai, Gesù, e a Giovanni dissi: “tu l’hai detto”.
Gesù, invece disse: “mangiate”, e tutti cominciammo a mangiare.


Dopo aver mangiato, Gesù disse: “ora vegliate con me”. E tutti i discepoli si addormentarono. Tutti tranne me. Gesù allora mi portò in una stanza dove potevamo parlare in privato e mi chiese: “Giuda, qualcosa ti preoccupa?”
“no, Rabbì, io amo il mio prossimo, io faccio del bene a chi mi fa del male. Io seguo il tuo insegnamento e sento che questo è l’insegnamento del padre”
“Rabbì” dissi “sento che così farò il giusto”
Gesù rise e disse: “in verità Giuda, in verità io ti dico: tu mi dovrai tradire. Solo così le scritture potranno compiersi, e io potrò lasciare questo mondo e questo corpo.”
Io chiesi: “Rabbì, perché spetta a me questo compito?”
“perché tu sei l’unico ad aver capito davvero quello che io vi ho insegnato. In verità io ti dico dovrai consegnarmi ai capi dei sacerdoti che mi stanno cercando, i quali ti daranno in cambio trenta monete d’argento.”
“Rabbì, ma perché dai a me questo compito?”
Gesù rise e rispose: “perché tu mi conosci davvero, e attraverso di me conosci il padre, mio padre! In verità io ti dico, ho paura. Ho paura di consegnarmi alle autorità e ho paura di morire. Ma solo così potranno compiersi le scritture. Tu l’hai capito vero Giuda? Hai capito di cosa sto parlando?”
Gesù rise, io dissi: “perché ridi Rabbì?”
“ascoltami Giuda” mi disse “domani dopo la cena tu andrai dai sacerdoti e dirai loro che li porterai da me, perché mi arrestino. Perché io sono!”
Rise e disse: “tu lo sai vero Giuda quello che deve succedere? tu l’hai capito, vero Giuda? Tu l’hai capito che l’agnello, in tutta questa storia, sono io?”
Io dissi: “tu l’hai detto.”
Gesù rise e disse: “domani porterai da me i capi dei sacerdoti. Mi stai ascoltando Giuda? Tu hai capito tutto vero? Hai capito che per quello che farai sarai dannato? Tutti ti odieranno, Giuda, ti odieranno perché tu sarai colui che sacrificherà il figlio di Dio, il figlio dell’Uomo.”
Gesù rise. Io gli chiesi. “perché ridi Rabbì?”.
“Giuda questa sarà l’ultima volta che staremo da soli, io e te” e guardandomi dentro gli occhi mi disse “dammi un bacio”
Io dissi “non posso, Rabbì, lo sapete. Andrebbe contro l’insegnamento del padre.”
“del padre di tua moglie?”
“no, Rabbì, del padre di tutti.”
“mio padre!” ringhiò Gesù guardando in alto, poi avvicinò la sua testa alla mia cercando di baciarmi.
Io mi spostai e gli dissi: “Rabbì, sei stato tu a insegnarmi a non infrangere le promesse”
“mio padre!” disse spostandosi, sempre guardando in alto.
“Giuda” mi disse “sarai maledetto! sarai dannato!”
Rise e disse: “poiché io sarò sacrificato tu sarai sacrificato!”
Io dissi: “tu l’hai detto”. E Gesù mi chiese: “me lo dai un bacio?”
Io feci per andarmene, ma Gesù mi richiamò dicendo: “Giuda, non voltarmi le spalle!”
“ma Rabbì, eri tu a darmi le spalle.”
Lui disse: “non ha importanza, non dovevi farlo!”
Poi disse: “Giuda,quando mi consegnerai ai sacerdoti dovrai baciarmi, perché è solo così che potranno compiersi le scritture.”
“Se è così che vuole il padre.” Dissi io.
“un’altra cosa Giuda, tu domani mi venderai alle autorità, ma non dovrai mai dire a nessuno, a nessuno Giuda, che sono stato io a chiederti di farlo. Hai capito?”
Si girò per guardarmi e mi disse: “Giuda a nessuno, nemmeno a mio padre.”
“Rabbì, tu l’hai detto. Posso andare ora?”
“aspetta”. Rise e disse: “ora vai a casa tua, ed entra in camera da letto.”
Io dissi: “Rabbì lo farò” e lui mi consegnò un minuscolo quadratino di carta dicendo: “e dopo mangia questo”.
“dopo cosa Rabbì?”
Gesù rise e disse: “ora in verità, in verità io ti dico: Giuda vattene, se non vuoi baciarmi torna a casa.”
“tu l’hai detto Rabbì” e tornai a casa mia, che si trovava dall’altra parte di Gerusalemme, dopo aver messo al sicuro il quadratino di carta che mi aveva dato Gesù.
Quando arrivai a casa entrai in camera da letto, come mi aveva detto di fare Gesù. Lì trovai mia moglie, aveva la faccia rivolta verso il muro, i palmi delle mani sul muro, la gonna tirata su e le mutandine tese dalle sue caviglie. Aveva A’damo, il marito della mia vicina di casa, che entrava e usciva da lei.
Dalla porta del bagno uscì un altro uomo, con addosso pantaloni da poliziotto, la spada appesa alla vita, e il petto nudo. Si grattava una spalla sbadigliando. Aveva la pelle rilassata come quella di un bambino.
Io iniziai ad agitarmi: saltavo, piangevo, tremavo, urlavo, mi arrampicavo sulle pareti, ridevo, vomitavo per terra e nel mio stomaco non sarebbe potuto entrare nemmeno uno spillo.
Dopo, quel dopo di cui parlava il mio maestro, andai con la mano a cercarmi in tasca quel quadratino di carta che mi aveva dato. Aprii la bocca e lo mangiai.
Vidi Gesù, vidi me stesso andare a dire a Gesù di una visione che avevo avuto: ho visto gli apostoli che mi lapidavano. Poi ho visto una casa e i miei occhi non potevano capirne la grandezza. Vedevo me stesso chiedere a Gesù di portarmi dentro quella casa. Gesù mi diceva che in quella casa io non potevo entrare poi mi diceva di guardare in alto: aveva fatto cadere le stelle portandoci più vicini ad esse, per spiegarmi come sono fatti tutti quei posti lassù. Una stella era diventata un angelo che ne aveva preso un’altra che era diventata un angelo finché tutte le stelle erano diventate angeli e Gesù luminosissimo mi spiegava come funzionano. Mi raccontava come è nato l’uomo e come ogni cosa potrebbe andare.
Tornai a casa illuminato dalle stelle, che sapevo essere angeli. Mia moglie si sdraiò accanto a me. Addosso aveva l’odore di altre persone. Altre persone che io non potevo che amare, è così che mi aveva insegnato il mio maestro: ama il tuo prossimo come te stesso, e io mi approssimavo a ogni persona pur di amarla e darle quello che avrei voluto fosse dato a me.


Il giorno dopo Gesù mi disse: “ora me lo dai un bacio?”
“sono sposato” risposi.
In quel momento incontrammo Ròdamo, in divisa da poliziotto con la spada appesa alla vita.
Ci invitò a mangiare a casa della mia vicina di casa. A pranzo.
Gesù rise e disse: “Giuda va a chiamare i tuoi compagni”
Ròdamo disse: “non so se ci sarà da mangiare per tutti”
Io dissi: “Rabbì tu l’hai detto” e andai a cercare gli altri discepoli. Andando via sentii Gesù che diceva a Ròdamo: “in verità io ti dico, mi piace la tua divisa…”
I miei compagni, gli altri apostoli, li trovai dall’altra parte di Gerusalemme.
Dissi loro: “Gesù vi vuole a pranzo, dalla mia vicina di casa.”
Giovanni mi disse: “pensi che io so dove abiti tu?”
“ladro!” mi disse, e sputò sulla mia faccia.
Luca indicandomi disse: “sei il diavolo”
Poi tutti, si misero in fila dietro di me e mi seguirono, girandosi ogni volta che mi giravo per guardarli guardare qualcosa che io non riuscivo a vedere.
Quando arrivammo davanti a casa mia io mi fermai e Pietro disse: “è forse questa la casa della tua vicina?”
“tu l’hai detto”dissi io.
Entrammo in fila per la porta della casa, e uno alla volta vedemmo la mia vicina che rideva, si agitava, si arrampicava sulle pareti,tremava, urlava,vomitava per terra per poi voltarsi verso di noi e chiedere: “ho preparato il pranzo, restate a mangiare?”
Verso le scale invece chiamò “A’dà! A’dà scendi, è pronto il pranzo!”
Dalle scale scesero Gesù, A’damo, e Ròdamo. Ròdamo con la camicia aperta, come i pantaloni, scendeva giù sbadigliando, con la faccia rilassata come quella di un bambino.
Come quella di Gesù. E come quella di A’damo.
Io e la mia vicina di casa, invece, stavamo dimagrendo a vista d’occhio. Contavo le occhiaie davanti allo specchio. “sono come le tue” dissi alla mia vicina di casa.
Gesù rise e disse: “sediamoci tutti a tavola”
Ci sedemmo a tavola. La mia vicina di casa prese un vaso di alabastro pieno di olio di puro nardo e lo ruppe.
Poi versò il contenuto sulla testa del mio maestro. Poi sui suoi piedi, e li asciugò coi suoi capelli.
Era una cosa che si faceva a un corpo prima che venisse sepolto. Quello della mia vicina, fu un gesto profetico. Io per primo, cogliendo il macabro collegamento le dissi: “perché hai sprecato il profumo? Lo si poteva vendere per 300 denari e darli ai poveri”
Ma Gesù disse: “lasciala stare Giuda. I poveri li avete sempre con voi, potete fare loro del bene quando volete!”
Poi disse: “chi vuole amarmi,ora, può seguirmi” prima di alzarsi.
Io chiesi: “Rabbì, è l’amore fisico che il padre vuole per me?”
“il padre di chi Giuda?”
“il padre di ognuno di noi”
“mio padre!” ringhiò Gesù , poi disse: “Giuda dammi un bacio”
“Rabbì lo sai..”
Lui disse: “tu l’hai detto,sei sposato. Allora và dalla tua sposa, ci vedremo per cena.”
Ma la mia sposa seguì Gesù, e la mia vicina di casa pure. E anche A’damo, Ròdamo, e gli altri undici apostoli. E con tutti loro c’era anche un certo Mattia.
Io tornai a casa pensando a quello che avrei dovuto fare quella notte. Le ombre della dannazione stavano agli angoli dei miei occhi mentre camminavo per Gerusalemme. Quella sera avrei dovuto tradire il mio maestro e a ogni mio passo mi chiedevo se fosse giusto o sbagliato, pregustando in bocca il sapore di ogni sfumatura che c’è fra il bene e il male.
Quando il sole fu sotto la terra, andai nel luogo dove avrei dovuto cenare con il mio maestro, e con gli apostoli. C’era anche Mattia, il ragazzetto coi ricci che avevo visto anche a pranzo. Aveva le guance arrossate e la pelle rilassata come quella di Gesù, e come quella degli altri undici apostoli.
La mia invece, era arida e stanca.
Giovanni mi disse: “Giuda, ladro! Tu siediti li nell’angolo” e sputò per terra, per indicare dove voleva che mi sedessi. Gesù rise e senza che gli altri sentissero mi chiese: “sei andato dai sacerdoti?”
“Rabbì, tu l’hai detto”
“Giuda, tu te lo ricordi, vero, il volere del padre?”
“Rabbì, quale?”
Gesù disse: “in verità, in verità io ti dico che ti ho già detto che dovrai baciarmi per indicarmi alle autorità”
“se così vuole il padre” dissi io.
Gesù mi disse: “ci troverai a Getsèmani, al podere. Faremo..” il maestro guardò gli altri apostoli, che bevevano del vino, e disse: “farò, una veglia.”
Poi Gesù rise e ad alta voce, a tutti, disse: “in verità io vi dico, uno di voi mi tradirà”
Pietro chiese: “signore sono forse io?”
Gesù rise e disse: “è colui per cui intingerò il boccone e glielo darò” e mise due gocce di acido su un pezzo rotondo di ostia, che era quello che avremo dovuto mangiare quella sera. Rise, Gesù, e disse: “Giuda, tieni, mangia!”
Luca disse: “il diavolo ha posseduto Giuda”
Tutti mi sputarono addosso. Gesù disse: “vattene traditore! Vai a fare ciò che devi”
“tu l’hai detto” dissi, e uscii dalla casa.
Camminai sotto la pioggia, per raggiungere il posto dove avrei dovuto incontrare i sacerdoti con cui avevo parlato quella sera, prima di cena. Per portarli dove si trovava Gesù, con gli undici apostoli, e con Mattia.
Ai sacerdoti, quando arrivammo vicino al podere, dissi: “colui che bacerò, quello è colui che voi volete”
Loro dissero: “tu l’hai detto” e io feci per andare avanti. Avvicinandomi sentii Gesù dire agli apostoli che dormivano: “dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora colui che mi tradisce è vicino. Alzatevi. Andiamo.”
Io mi avvicinai a Gesù e dissi: “salve Rabbì”
Lui mi si gettò addosso baciandomi.
Dietro le spalle di Gesù vidi mia moglie, che mi guardava e guardava le mie labbra premute contro le labbra del mio maestro, e le sue braccia sopra il mio corpo da cui non riuscivo a liberarmi.
Accanto a mia moglie c’erano A’damo ed Ròdamo ,e io non riuscivo a staccarmi dall’abbraccio del mio signore, che continuava a stringermi.
Un sacerdote urlò: “smettetela”
Dietro di loro c’era una folla, armata di spade e bastoni.
Pietro prese la spada di Ròdamo e si lanciò contro i sacerdoti.
Mentre mia moglie se ne andava via, Pietro tagliò l’orecchio a un sacerdote.
Gesù rise e disse: “che stupido! Chi di spada ferirà di spada morirà. Pensi che non posso chiamare mio padre e far scendere sei legioni di angeli?”. Poi si avvicinò dal sacerdote, e rise, vedendolo urlare di dolore, avvicinò una mano al suo orecchio e lo guarì.
Gesù venne arrestato e tutti noi dodici apostoli fuggimmo in direzioni diverse.
Mattia, era andato via con mia moglie, con A’damo e con Ròdamo.
Li trovai a casa mia, sul mio letto, felici come bambini. Mia moglie mi guardò e mi disse: “Giuda, tu non sei più mio marito!”
“se mi ami prendi quella corda” mi disse. Era la mia stessa corda.
“tu l’hai detto”dissi, e andai via con la corda in mano.
Fuori da casa mia trovai gli altri undici apostoli. Luca mi disse: “sei stato posseduto da Satana. Giuda dammi quella corda”.
Io dissi: “tu l’hai detto” e gliela diedi.
Gli apostoli mi sputarono addosso, mi picchiarono, e poi mi impiccarono.

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Guarda il CORTOMETRAGGIO "Gerusalemme" di Michele Ricossa e Lucio Coppa

martedì 1 marzo 2011

-CESSO A CASTELLO-

SCENA 1-PRIMA.
ci sono spazi concepiti per la pubblicazione di testi liberamente tratti da qualsiasi profonda parte di chiunque voglia diffondere i prodotti di qualsiasi profonda parte di (qualsiasi) se stesso.

CESSO A CASTELLO SCENA 1-2
Questi sono spazi concepiti per la diffusione di testi d'arte con licenze CREATIVE COMMONS.

CESSO A CASTELLO 1-3
Questi è spazio concepito per la visibilità di qualsiasi prodotto. Spazi a disposizione di ciò che ancora non esiste.

CESSO A CASTELLO 1-4
Questi sono spazi concepiti. Prodotti da qualsiasi profonda parte, per la pubblicazione di ogni profonda parte che esiste e non esiste.

CESSO A CASTELLO 1-5
Questo sono spazi liberamente tratti per la pubblicazione dei miei testi con licenza CREATIVE COMMONS.

SCENA 1-6
Questo è spazio che ancora non esiste. O perlomeno, risulta difficile da localizzare, a parole. In realtà molto più facile da raggiungere di qualsiasi strada di qualsiasi città dove potrei appendere qualsiasi prodotto di qualsiasi profonda parte di me stessa.

CESSO A CASTELLO 1-7
Ci sono spazi come strada, una strada dove esporre liberamente opere profonde.

CESSO 1-8
Questo spazio è una strada liberamente tratta da trattare liberamente mentre viene percorsa.

1-9
Questa strada è una storia. Una storia da creare mentre viene liberamente percorsa.

CESSO A CASTELLO 1-10
Questa storia è una strada, e ogni personaggio parla solo di se stesso. La voce narrante compresa.

CESSO A CASTELLO 011
Questi è un cesso, un cesso che ancora dev'essere costruito. Concepito per la diffusione dei prodotti e delle nostre più profonde parti.