giovedì 27 ottobre 2011

PIETROLIO

Vivevo con Erick, il mio compagno. Dovevamo partire per il week-end insieme ai nostri amici. Stavo infilando in borsa l'abito da sera, avevo i tacchi a spillo tra le mani, quando suonò il campanello. Chissà chi può essere, pensai. “amore apri tu?” chiese Erick dall'altra stanza.
Aprii la porta, i tacchi a spillo tenuti su da una mano, Erick dietro le mie spalle guardava insieme a me un'anziana signora. 
“mamma?” chiesi.
Lei mi abbracciò. Non ci vedevamo da quindici anni.
“figlio mio, quanto ti ho cercato” mi disse. Sembrava non notare il reggiseno che avevo addosso, sotto il vestito, e neanche l'imbottitura che lo riempiva.
“mamma, lui è Erick. Stiamo insieme da nove anni”. Mia madre si presentò. Si tolse la giacca e la appese vicino alla porta.
“ho viaggiato per anni figliuolo offrimi un bicchiere d'acqua”. Erick lo portò dalla cucina. Mia madre lo svuotò in un sorso. 
“tuo padre è morto” disse.
Io lo sapevo. Avevo letto le notizie sui giornali.
Non dissi nulla, mi sedetti sul divano.
“Pietro” disse mia madre “forse lo sapevi già. Non importa. Sono contenta di vederti.” io la abbracciai. Ma non sapevo se ero contento.
“Pietro” mi disse “ho viaggiato per anni. Ho tante cose da dirti.”
“amore, puoi portarmi un bicchiere d'acqua?” chiesi. Erick lo portò dalla cucina. Lo svuotai in un sorso. Erano quindici anni che non vedevo mia madre.
Sono scappato di casa a diciannove anni.
“anche tuo padre” disse mia madre “tuo padre anche scappò di casa a diciannove anni” . Era cresciuto in una fattoria nel Vermont poi era fuggito.
“andò a costruire ferrovie” disse mia madre. 
Io ero scappato con Marc, il mio migliore amico. Avevo rubato una macchina e guidato fino a *******. Ero giovane, ero innamorato, ero partito. Era il 27 novembre 1880. Una volta arrivati a ******* Marc mi aveva abbandonato. Io per sopravvivere fui costretto a lavorare come prostituta.
Mio padre aveva costruito ferrovie e aveva guidato i treni. Questo fu mia madre a dirmelo, quel giorno che suonò alla mia porta.
Io sono nato a Titusville, in Pennsylvania, nel 1861. Titusville era un paesino di 125 abitanti prima del 1859, quando mio padre estrasse il petrolio dal sottosuolo usando delle trivelle. Fu il primo a farlo. Ho sentito questa storia milioni di volte.
“era stato G. Bissell” disse mia madre “ad avere questa idea. Ci aveva pensato guardando fuori da una farmacia la pubblicità di un farmaco a base di petrolio. Le trivelle che usavano per estrarre il sale ne restavano sporche. Il farmaco lo producevano con quello. George B. era stato in Pennsylvania, in viaggio, nel 1853. Aveva visto estrarre il petrolio superficiale dalla gente del posto. Qualcuno lo raccoglieva persino con spugne e stracci, pensa. Veniva utilizzato principalmente come medicinale. Bissell, colpito dall'estrema infiammabilità della sostanza, aveva pensato di utilizzarla come olio illuminante. Quando vide la foto delle trivelle cinesi, fuori dalla farmacia, ebbe la straordinaria intuizione.”
Avevo sentito quella storia milioni di volte.
“tuo padre era sicuro di trovare il petrolio. Ci trasferimmo a Titusville e iniziò subito a scavare. Io lo amavo. Sapeva guidare i treni, era forte, giovane, coraggioso, era stato persino colonnello. Pensa, aveva quarant'anni allora.”
Madre mi guardò negli occhi. Non guardava le mie tette. “devo dirti una cosa” mi disse.
Non ci vedevamo da quindici anni. 
“in realtà fu un'idea di J. Townsend, il banchiere.” disse mia madre “Fu lui a suggerire a tuo padre di fingersi ex colonnello per impressionare gli abitanti del villaggio. Funzionò."
"A me quell'idea era subito piaciuta” é il 1895 e io sono davanti a mia madre che mi dice: “Mi eccitava pensare che tuo padre fosse un colonnello.”
Io non ne rimasi colpito. Mia madre mi guardò come a chiedere il perché.
“non credo neanche che sia il mio vero padre” le dissi.
Mia madre per poco non si mise a piangere. “Pietro, perché hai sempre pensato questo?”
Io guardai il colore della mia pelle. Era nera. Lo è ancora. Quella di mia madre no. Quella di mio padre neanche. Ho due fratelli. Bianchi, pure loro. Non li ho più rivisti da quando sono scappato.
“ti voleva tanto bene”
“chi?”
“tuo padre. Lavorava così tanto nei pozzi. Lo faceva per la nostra famiglia”.
Mia madre mi guardò e mi disse “tu. Soprattutto. Eri sempre nei suoi pensieri.”
Io guardai il colore della mia pelle. Per gli abitanti di Titusville ero sempre stato un cittadino inferiore. Nonostante la fama di mio padre si divertivano a umiliarmi. Pensavano che io dovessi obbedire a ogni loro ordine. E io lo facevo, ma soltanto con i miei amici. Con Marc soprattutto.
I miei genitori volevano darmi come sposa una certa Fiorenza. Era una mia lontana cugina. Io avevo sempre desiderato una fidanzata, lo dicevo sempre ai miei amici, ma non avevo mai pensato a mia cugina. La sua famiglia si era trasferita a Titusville poco prima della mia nascita. Dopo che mio padre era riuscito a estrarre il petrolio, e gli abitanti di Titusville si erano moltiplicati.
“era agosto” disse mia madre “e la società che finanziava il lavoro di tuo padre gli aveva dato un ultimatum. Tuo padre era sicuro di riuscire a trovare il petrolio. Aveva iniziato a lavorare con le sue stesse mani. E una sera, mentre una lettera che ordinava di interrompere gli scavi arrivava a casa nostra, dal pozzo cominciò a sgorgare una sostanza scura e oleosa che galleggiava sull'acqua.”
Avevo sentito questa storia milioni di volte, prima di scappare di casa. I miei genitori avevano iniziato a parlarmi del mio matrimonio. Io non avevo mai pensato a mia cugina. Cominciavo appena a chiedermi perché i miei amici dovessero essere carini per essere miei amici. Mi chiedevo chi fosse veramente mio padre. Guardavo il colore della sua pelle. Lo odiavo.
“tua cugina ha sposato il nipote di George Bissel” mi disse mia madre.
Quando mio padre aveva estratto il petrolio, tantissime persone si erano trasferite nel nostro paese. Avevano acquistato i terreni, avevano affittato trivelle. Gli abitanti di Titusville, avevano sempre voluto comprarmi come schiavo, per lavorare nei loro pozzi. Mio padre era l'unico a difendermi. Ma io sapevo che non era il mio vero padre. I miei genitori erano bianchi. Io no. Loro mi volevano bene. Io li odiavo, per tutto quello che mi avevano fatto. Li odiavo perché non mi dicevano la verità.
“è morto in miseria e malattia” mi disse mia madre.
Aveva preferito morire piuttosto che venirmi a cercare.
“ha iniziato ad ammalarsi dopo che tu te ne sei andato” mi disse.
Io non ero più tornato a Titusville. Non avevo più rivisto i miei genitori. L'unica lettera che avevo scritto a mia madre l'avevo lasciata sul tavolo in cucina il giorno della mia partenza. C'era scritto “non cercatemi”.
Lavorando come prostituta conobbi Erick. Era sposato. Era il 1885.  L'anno dopo andammo a vivere insieme.
“ti ho cercato per anni figliolo” mi disse mia madre. 
Sopra il tavolo, oltre ai due bicchieri d'acqua, c'era un giornale aperto. L'articolo parlava di interventi plastici al seno. Molte donne pensavano che presto avrebbero potuto operarsi per aumentare le dimensioni del loro seno. O perfezionarlo.
Io ero una di loro.
“anche io vorrei perfezionare il mio seno” disse mia madre.
Non mi vedeva da quindici anni.
L'articolo diceva che presto sarebbe stato possibile inserire delle protesi di avorio, vetro, o paraffina nella regione mammaria. Fu possibile. Io lo feci. Mia madre no.
Io morii di tumore nel 1907.
“tuo padre voleva vederti. Parlava di te prima di morire”.
Io non l'avevo mai perdonato.
“devo dirti tante cose figliolo”. Erick portò un bicchiere d'acqua dalla cucina. Mia madre lo guardò. Guardò me. 
“puoi dire tutto quello che mi devi dire davanti a lui” dissi “stiamo insieme da nove anni”.
Mia madre si presentò. Guardò Erick. Poi guardò me. “Tuo padre estrasse il petrolio. Era il 1859. Ci arricchimmo, all'inizio. Titusville si arricchì. Passarono due anni. Un giorno tuo padre tornò prima dai pozzi. Lo sentii arrivare insieme a un pianto. Aveva tra le braccia un bambino. Eri tu. Ti aveva trovato in mezzo al greggio. Io ti presi in braccio. Ti feci smettere di piangere. E ti pulii. Ma il colore del petrolio non andò mai via. Eri nero. Lo sei ancora.”.
Mia madre svuotò il bicchiere d'acqua in un sorso.
“ti portammo da un dottore, fuori città. Ci disse che eri costituito al 70% di petrolio. Per questo ti abbiamo chiamato Pietro.”
“tuo padre era convinto che tu fossi figlio di qualche spirito antico. Una creatura speciale, estranea a questo mondo.”.
Gli abitanti di Titusville hanno sempre parlato male di me. Nonostante la fama di mio padre. Mi discriminavano per il colore della mia pelle. Mi chiamavano finocchio. Lo ero.
“tuo padre, ti ha sempre amato. Lavorare nei pozzi lo faceva sentire in contatto con le tue origini.”.
È il 1895, il dottor Czerny ha compiuto la prima operazione chirurgica nella regione mammaria e io sono davanti a mia madre che mi dice “pensammo fosse meglio far credere a tutti che tu fossi negro. Anche a te.”
“in realtà” disse “sei stato tu a suggerirci questa idea”.
Io non ne fui sorpreso. Mia madre mi guardò, come a chiedermi il perché. Io guardai il colore della mia pelle. Tutti pensano che io sia nero.
Erick andò a bere un bicchiere d'acqua.   

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giovedì 29 settembre 2011

SERIE 01

Al principio niente aveva bisogno di niente. Poi Dio Separò La Luce E Il Buio. Quando creò i primi uomini non avevano bisogno di niente. E Dio disse loro: "non mangiate gli alberi". Ma Eva colse il frutto dell'albero del bene e del male, Adamo uccise il serpente e se lo mangiò. Dopo aver mangiato desiderarono mangiare ancora, così abbatterono gli alberi dell'Eden e ne mangiarono i frutti. Uccisero tutti gli animali finchè non rimase più niente. Fu allora che Dio li mandò a vivere sulla Terra. La Terra Non Era Ancora Pronta , ma Eva e Adamo avevano fame e ne avrebbero avuto per il resto dei loro giorni. Dio li fece vivere sulla Terra che stava costruendo. Non lo ringraziarono, ma lui li amava. Loro sulla Terra non si trovarono male. La Natura accendeva per loro fuochi Scoppiettanti. Dava loro acqua, animali, piante. Adamo ed Eva spostarono il fuoco e controllarono le acque. Un giorno non trovarono cibo e cercarono di mangiarsi a vicenda. Nove mesi dopo nacquero Caino e Abele. "Chiamiamoli Adamo ed Eva" disse Eva. Ma non poterono perchè i due bambini erano uguali. Caino mangiava le piante, Abele gli animali. Un giorno Caino si mangiò Abele e si addormentò sotto un albero.

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martedì 5 aprile 2011

SULLA SCIA (la famiglia e la fede)

Mia nonna aveva prenotato dei posti per vedere quel lenzuolo. Voleva comprarlo.
Per farlo riunii tutta la mia famiglia. Io, mia madre, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mio padre, mia sorella, mia madre, mio padre, mio fratello, lo zio, il nonno, mio padre, tre zie e sette miei cugini l'avremmo accompagnata a comprare quella tela.
L'amico di mia nonna aveva detto che ci sarebbero stati un sacco di soldi.
Doveva essere un'asta. Era stato lui a organizzarla.
Noi dovevamo attraversare tutto il continente per arrivare in quella lontana città. Mia nonna aveva affittato un pullman intero. Correvamo autostrade intasate da altri pullman, da altra gente che avrebbe tentato di portarsi a casa quello stesso lenzuolo.
Mia nonna era sicura di vincere. Mi diceva di volerlo appendere sulla parete sopra il suo letto. Io le avevo chiesto perché non usarlo dentro al letto, si trattava pur sempre di un lenzuolo.
“ha milioni di anni” mi aveva detto..
Mi ero chiesto perché lo desiderasse tanto allora.
“ha milioni di anni” aveva risposto mia nonna.
Durante il viaggio mi raccontava le favole: “La strega cattiva aveva colto una mela dall'albero della morte, poi si era trasformata in una vecchia, ma adorabile, ed era andata da Biancaneve a offrirle quella mela lucidissima. Biancaneve non aveva potuto fare a meno di accettarla. L'aveva mangiata prima che i nani tornassero da lavoro”
“L'avevano trovata morta” mi disse.
“nonna” le chiesi “mi racconti di come sono nati i nani?”
“una volta” disse “l'Eterno scacciò Adamo ed Eva dall'Eden perché avevano mangiato una mela dall'albero della conoscenza del bene e del male. Dopodiché Adamo conobbe Eva”
Mia nonna mi disse che prima nacque Caino poi Abele. Erano gemelli, io conoscevo la loro storia.
Me l'aveva già raccontata mia nonna disse che quando Adamo conobbe nuovamente Eva, questa partorì un altro figlio. Lo chiamarono Posto, perché l'Eterno l'aveva dato loro al posto di Abele, che Caino aveva ucciso.
La nonna mi disse che Adamo visse in tutto novecentotrent'anni, e generò figliuoli e figliuole.
“sette di loro nacquero nani” disse.
Dal finestrino di quell'autobus guardavo le campagne della mia terra. Non ero mai uscito dalla città, vedere la natura quel giorno mi fece sentire con forza una creatura di Dio, parte di un disegno molto grande iniziato con la creazione del mondo e con la nascita di Adamo ed Eva, quell'uomo e quella donna centenari, di cui mi aveva sempre parlato la nonna.
Fu la prima volta che uscii dal paese. Ciò che mi sorprese di più fu che non mi si presentò davanti agli occhi un cambio netto. Me lo ricordo ancora. Capii che lo Stato affianco al nostro non era un posto diverso. Eravamo tutti figli di Dio.
Seduti in capo al pullman, mia nonna mi raccontava di quando Adamo si innamorò di Biancaneve.
“aveva quattrocentosettantasette anni” disse “ Eva per la gelosia divenne vecchia e brutta. Non poteva sopportare di aver perso il suo amore di sempre”.
“nonna” chiesi “cosa fece Eva per riconquistare Adamo?”
Lei, come aveva fatto altre volte, mi raccontò di come Eva coltivò la gelosia del suo uomo facendosi conoscere dal boscaiolo del loro palazzo.
Partorì un figlio.
Ad Adamo non importò nulla.
“fu allora che Eva ordinò al boscaiolo di uccidere Biancaneve” mi disse la nonna, mentre appannavo il finestrino col fiato.
Guardavo i cartelloni che lungo la strada scandivano il nostro avvicinarci all'ambito lenzuolo.
Mia nonna mi disse che si stavano muovendo milioni di persone da ogni parte del mondo.
Disse che voleva arrivare prima possibile.
“tu sei mai stata in quella città nonna?”
“non ci sono mai voluta andare. Perché avrei dovuto?” mi chiese.
Disse che in quella città abitava anche il diavolo. Era stato il papa a rivelarlo una volta.
Anche quella città era in Italia, come il papa.
“il papa è in Vaticano” mi disse la nonna.
Anche il Vaticano è in Italia.
“il Vaticano è uno stato” disse lei.
Mi chiedevo cosa fossero i confini a quel punto.
Quando entrammo finalmente in città, mia nonna mi disse “stai attento”.
Disse di non guardarmi troppo intorno, c'erano delle strane energie in quella città.
Disse anche di non guardarmi troppo dentro. Ribollivano delle particolari energie in quella città.
Io chiusi gli occhi e strinsi la mano di mia nonna.
Le chiesi perché il boscaiolo non uccise Biancaneve.
“era bella” mi disse “aveva la pelle chiara e degli occhi così profondi che le facevano meritare qualunque gemma pescassero i nani dalla terra.
Eva chiese al boscaiolo di portarle il cuore della sua nemica come prova della sua morte.
Aveva uno specchio vivente, Eva, che poteva rispondere solo sinceramente a qualsiasi domanda lei le ponesse a proposito di passato, presente, futuro”
Il boscaiolo, per ordine di Eva, seguì Biancaneve che stava raccogliendo frutti selvatici per la sua padrona.” Eva. Biancaneve era la sua serva, da quando lei e Adamo erano andati a vivere in quel castello.
“Anche Adamo stava raccogliendo frutti selvatici per ordine di sua moglie”
Il boscaiolo si avvicinò a Biancaneve. Lei cantava.
Lui le si fermò accanto. Lei fece come se non l'avesse visto. Era così.
Il boscaiolo tentò di baciarla, la conobbe, poi le disse di andare via.
Le ordinò di andarsene e di non tornare mai più al castello. Le disse che una strega cattiva desiderava saperla morta. Le disse di fuggire.
Disse che sarebbe stata tentata, ma che non avrebbe mai, davvero, dovuto mangiare quella mela.
Biancaneve lo fece.
“Adamo li vide” mi disse mia nonna “e andò a raccontare tutto a Eva”
Biancaneve invece era fuggita nel bosco. Non si era fermata sino a quando non aveva incontrato la casa dove vivevano i nani. Biancaneve non si ricordava di loro, eppure avevano vissuto nello stesso castello quando lei era ancora una bambina. Lo stesso castello da cui erano stati cacciati per via del loro aspetto.
“andatevene e non tornate mai più” aveva detto loro Adamo quando avevano imparato a camminare.
“dopo una vita passata insieme ai nani, dopo trip e trip e trip in mezzo alla foresta, la conoscenza di Biancaneve non raggiungeva neanche il peccato originale” disse mia nonna.
“mangiò la mela e morì” mi disse “dopo tre giorni resuscitò. Ora siede in cielo, alla destra del padre.”
“del padre di chi,nonna?”
“del padre di Adamo”
Mia nonna mi aveva sempre detto che era stato un principe a far rivivere Biancaneve.
Io non capivo come fosse arrivata poi in cielo. Come le fosse venuto in mente dopo aver trovato un uomo, per di più un principe.
“nonna perché è venuta così tanta gente a vedere questo dipinto?”
“non è un dipinto figliolo” mi disse mia nonna “è il lenzuolo dove dormì Gesù Cristo”
“e cosa fece dopo?”
“resuscitò. Ora siede in cielo, alla destra del padre”
“del padre di chi, nonna?”
“del padre di Biancaneve” disse mia nonna “tuo padre”
Mio padre scese dal pullman per primo e ci radunò tutti. La nonna si mise in capo al gruppo.
Disse che avremo seguito un particolare percorso per arrivare alla chiesa dove si trovava il lenzuolo.
Era stato il suo amico a suggerirle l'itinerario grazie al quale avremmo goduto soltanto dell'effetto delle energie benefiche di quella strana città.
Mia nonna mi disse comunque di non guardarmi troppo intorno.
A metà del percorso ci venne a prendere il vescovo di Torino in persona. Era l'amico della nonna.
“della nonna di chi?”
“della nonna del principe” mi disse mia nonna.
Io le sorrisi.
Lei mi aveva sempre detto che era stato un principe a far rivivere Biancaneve.
“con un bacio” mi diceva sempre.
Il vescovo aveva organizzato quell'asta in occasione del suo pensionamento. Io pensai che forse aveva bisogno di soldi.
Nella strada lungo la chiesa centinaia e centinaia di persone in fila pregavano per essere pronte a vedere quella tela. L'amico della nonna ci disse di aver già pregato al posto nostro, mentre noi eravamo in viaggio. Sorrise. Disse che potevamo entrare subito.
Si mise davanti a gruppo, insieme alla nonna, che mi teneva per mano. Il resto della nostra famiglia stava ordinato dietro di noi.
La chiesa era completamente al buio. Mia nonna e il suo amico parlavano, io fissavo l'altare, sopra cui un enorme telone bianco, con due strisce scure simmetriche, era illuminato da una luce retrostante.
“quello è il lenzuolo dove morì Gesù” disse la nonna.
Mi chiesi quanto sarebbe costato.
Il vescovo si fece il segno della croce quando arrivammo difronte al lenzuolo tutta la nostra famiglia lo imitò. Ci trovavamo in una zona limitata da transenne che segnavano il perimetro dove non tutti potevano entrare. Mi chiedevo quale fosse la differenza tra noi e loro. Loro che arrivavano fino a quel confine e poi allungavano il collo e strabuzzavano gli occhi verso il lenzuolo che a quanto stava dicendo il vescovo raffigurava il vero corpo di Gesù Cristo.
Io non lo vedevo.
Mia nonna mi disse che dovevo avere fede.
Io non sapevo cosa significasse.
Mi disse che quello era il telo dove si era asciugato Cristo.
Il vescovo disse che il corpo di Gesù era rimasto impresso nella tela ad opera di una pesante transustanziazione. Disse che solo per questo l'essere umano era capace di fare delle fotografie.
Dall'altra parte delle transenne in molti fotografavano quella foto dipinta. Due ciechi spinsero un paralitico fin davanti alla tela. Voleva fotografarla. Ma quando non poterono più avanzare per via delle transenne, lui lasciò cadere la macchina fotografica. Uno dei ciechi si chinò per raccogliergliela, ma il suo amico nel frattempo si era alzato dalla sua sedia. Aveva improvvisato dei passi in avanti abbattendo la recinzione. Protendeva le braccia verso l'asciugamano dove era morto Cristo.
Voleva abbracciarlo.
Il vescovo si mise a urlare. Lo implorava di fermarsi.
I due ciechi riuscirono a vedere quello che stava succedendo. Lanciarono i loro bastoni verso il vescovo mentre urlavano al miracolo corsero verso la sindone.
Con le braccia in avanti per poterla toccare.
Mia nonna si gettò sui miracolati e iniziò a colpirli coi loro stessi bastoni.
Desiderava così tanto quella tela.
Io mi girai verso il resto della mia famiglia. Mia sorella, sorda dalla nascita aveva iniziato a sentire. Mia zia, mio cugino, mio fratello, mia sorella e mia sorella poterono finalmente vedere. Mio fratello, mio zio, mio fratello e mia sorella, che non avevano mai camminato iniziarono a farlo, sulla scia dell'ottimismo che si era diffusa in tutta la chiesa.
Decine di persone guarirono come ai tempi di Gesù Cristo.
Ma nel frattempo mia nonna stava rischiando la sua vita lottando. Per un attimo pensai che sarebbe diventata una martire. Sacrificata per dare una vita migliore a tutte quelle persone.
Invece arrivò un gruppo di uomini in divisa. Allontanarono mia nonna e colpirono i guariti con altri bastoni. Uccisero i due ex ciechi. Il paralitico rimase in vita e fu portato in ospedale. La tela era salva.
Cinquantatré persone erano state miracolate. Le altre non ne avevano bisogno.
L'ex paralitico fu arrestato, quando venne scoperto che era sempre stato sano. Anche i due ciechi avevano sempre visto, dalla nascita. Avevano ingannato miliardi di persone.
Le altre, mi disse mia nonna, fu la presenza della sacra sindone a guarirle.
“è una questione di fede” aveva detto.
Io non sapevo cosa significasse.
Il finto paralitico fu crocifisso sulla pubblica piazza, dopo un solo giorno di prigione. Anticiparono l'esecuzione affinché non morisse di stenti. Dicevano che in questo modo sarebbero stati cancellati tutti i suoi peccati. Mia nonna disse che probabilmente sarebbe risorto.
Mi aveva detto che quando Adamo ed Eva furono cacciati dall'Eden, furono accolti e ospitati da una famiglia di nani.
“non sarebbero mai riusciti a sopravvivere da soli altrimenti” aveva detto mia nonna.
“Anche i sette figli nani di Eva e Adamo furono accolti da una famiglia di nani quando Adamo li cacciò dal loro castello”
“anche Biancaneve” disse.
Ci trovavamo nuovamente nella nostra casa io, mia nonna, mia madre, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mio fratello, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mia sorella, mio padre, mia sorella, mia madre, mio padre, mio fratello, lo zio, il nonno, mio padre, tre zie e sette miei cugini, insieme a tutto il resto della nostra famiglia.
Ci trovavamo di nuovo insieme nel nostro castello.
Il lenzuolo dove aveva dipinto Gesù Cristo era appeso sulla parete sopra il letto di mia nonna.
Il vescovo aveva detto che lei l'aveva pienamente meritato quell'anno.
Quello non era un evento periodico. Quel lenzuolo veniva creato solo in vista di particolari occasioni. Lo guardai. Guardai il corpo di Gesù impresso nel tessuto e a mia nonna chiesi “come ha fatto a risorgere?”
“è stato un principe a farlo risorgere”
Io non riuscivo a capire come fosse arrivato poi in cielo. Come gli fosse venuto in mente dopo aver trovato un uomo, per di più un principe.
“e come ha fatto a farlo risorgere, nonna?”
“con un bacio, figliolo”


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venerdì 11 marzo 2011

CHARLIE

Sono due mesi che mi segue, il bastardo.
Mi giro di scatto, sicuro di prenderlo alla sprovvista, ma anche questa volta è troppo veloce.
Fa sempre in tempo a nascondersi e io non riesco mai vederlo in faccia.
Forse è un poliziotto, è maledettamente veloce il bastardo. E io non riesco mai a vederlo in faccia.
È da più di due mesi che mi segue e a volte è frustrante.
Anche ora, sento la sua presenza alle mie spalle, mi giro ma non lo vedo. Dev’essere nascosto dietro quelle piante. Per seminarlo entro nell’ascensore, sicuro di fargli perdere le mie tracce. Le porte si richiudono subito dopo di me. Nell’ascensore, con la faccia schiacciata nell’angolo, un uomo ripete velocemente parole incomprensibili a bassa voce come se stesse pregando.
Quando l’ascensore si ferma all’ultimo piano non scende. Si aprono le porte, ma lui continua a ripetere parole basse con voce veloce come se stesse pregando.
Io schiaccio il tasto “terra”.
Nel giro di dieci piani l’ascensore si riempie e si svuota, lui non si muove. E al piano terra, quando si riaprono le porte, siamo di nuovo soli. E lui sta ancora li, nell'angolo, che parla di nascosto.
Premo ancora il tasto 10.
Quando l’ascensore si ferma al settimo piano lui si gira e butta la sua paura addosso ai miei occhi.
Mi afferra con un braccio e mi porta fuori dalla scatola che viaggia tra tetto e sottosuolo.
Pensavo di farcela questa volta, mi dice.
Io mi giro a guardare se il bastardo mi sta ancora seguendo.
Conosco gente che usa le sue paure come una droga, mi dice, adrenalina pura.
Io, dice, sono tra i tanti che provano a superarle.
Mi dice che se anche ci riesce una volta, poi la volta dopo deve ricominciare da capo.
Mi manca l’aria nei posti chiusi,dice.
Quando me lo dice mi sta ancora stringendo con un braccio, all’altezza dello stomaco.
Gli occhi,le sue occhiaie sotto non ci metto quasi niente a catalogarle: nel bagno non si mette a pregare in un angolo quando gli offro qualche tiro di coca.
Gli dico di entrare dopo di me. Gli dico: è meglio, c’è uno che mi segue da quattro mesi.
Non credo sia uno sbirro, ma entra dopo di me, gli dico.
Lui dice: certo.
Poi entra insieme a me.
E tu di che paura soffri? Mi dice.
Io rispondo “nessuna” naturalmente, però conosco uno che gioca con le sue vertigini.
Anche io, mi dice, ma solo quando è ubriaco, scala posti altissimi, dice che le vertigini sommate a quelle della sbornia lo fanno stare in equilibrio. Lo fanno sentire sicuro e concentrato, dice.
Quando scende la sbronza gli è quasi sempre passata, mi dice.

Dopo tre tiri di coca siamo in un bar a bere birra e ogni tanto andiamo in bagno a farne un altro, di tiro.
Questa volta l’ho convinto ad andare a turno.
Anche se credo che per oggi il bastardo abbia già dato.
Non si può mai sapere, penso, è veloce e non l’ho ancora visto in faccia.
Seduti al tavolo mi dice: non ti senti come in “fight club” quando Tyler e Tyler sono in quel bar a bere birra e stanno per dare inizio a qualcosa di fantastico?
Gli chiedo se ha qualche idea.
Ma prima gli chiedo se ha intenzione di lottare fuori dal bar o se ognuno deve picchiarsi per conto suo.
Mi dice:un mio amico lavora in un villaggio turistico sulla costa Smeralda.
Mi dice: un matto, un tipo suscettibile di quelli che quando non trovano un motivo per dare inizio alla violenza se lo inventano.
Mi dice: hai presente Begbie di trainspotting? Dice: immagina se avesse una seria dipendenza dalla cocaina.
Mi dice: ora immagina uno così che ti chiede:hai bisogno di soldi? E poi ti dice: È arrivato uno al villaggio, dev’essere uno importante, sempre pieno d’oro anche quando nuota in piscina, ha un bambino di otto anni che lascia gironzolare spesso da solo. Mi ha detto: Non sa che siamo nella terra dei banditi?Non sa che siamo nella terra dei sequestri?
Ora, riesci a immaginare uno così che ti dice una cosa del genere?
Mi dice: non lo conosci questo tipo, potrebbe a tagliare orecchie per puro divertimento.
Io dico: facciamolo.

Siamo in macchina. Io, Tyler, è così che abbiamo cominciato a chiamarci tra di noi, e il bambino.
L'amico di Tyler, Begbie, ci ha fatto da spalla all’interno del villaggio. Poi il giorno prima del rapimento Tyler, gli ha dato 10.000 euro in contanti che si è fatto prestare. Dalla banca, mi ha detto.
così ce lo leviamo di torno, se sa dove siamo ci sputtana come niente, è imprevedibile, ha detto Tyler.
Io non gli ho chiesto due volte dove ha preso i soldi.
Siamo in macchina e stiamo portando il bambino dentro una fossa che ,bisogna dirlo,è già pronta per lui da qualche giorno. Abbiamo impiegato una settimana per scavarla, sotto la capanna di pietra dove viveva il nonno di Tyler.
sono orfano, mi ha detto Tyler mentre stavamo scavando, mio nonno mi ha praticamente cresciuto, e nonostante avesse bisogno di aiuto per mantenere il gregge, mi ha sempre fatto andare a scuola.
Tyler mi ha detto: l’ho trovato morto sette anni fa.
proprio qui, ha detto, inchinandosi per toccare un punto nel pavimento con un dito.
Poi mi ha detto: non tornavo a casa da un mese, stavo in giro con gli amici. Avevo diciannove anni.
Girava parecchia coca quel periodo tra gli amici, li avevo tutti conosciuti a scuola, ha detto Tyler.
Io ho continuato a scavare, lui mi ha parlato di suo nonno: viveva in questa capanna con le sue pecore da quando era morta la moglie. Scendeva in paese solo per comprare il vino di fratello e qualche provvista.
Era ancora inchinato a toccare il pavimento, Tyler.
Io gli ho detto: alzati.
Poi quando è morto anche il fratello ha smesso di bere, così ha detto Tyler.
La fossa l'abbiamo ricoperta con delle travi di legno lasciando lo spazio per una botola larga abbastanza per una scala e una persona. Prima di chiudere la botola ci siamo fatti una striscia e poi ho fatto finta di buttare Tyler giù nel fosso. Lui si è girato di scatto e mi ha morso un braccio.

Ce l’ho ancora fasciato. Il braccio, ora che siamo in macchina e stiamo portando il bambino dentro la fossa che, bisogna dirlo, è già pronta per lui da qualche giorno.
Come si chiama? Chiedo.
Chi, mi dice.
Il bambino, dico io.
Non lo so e tu?
No.
Buttiamo il bambino dentro il fosso e buttiamo dentro anche un po’ di caramelle e uno spinello che, bisogna dirlo, Tyler ha comprato apposta per lui.
E anche un accendino.
Noi ce ne stiamo al piano superiore per la maggior parte del tempo a tirare cocaina.
Io dico a Tyler che dovremmo andare a prendere un po’ di cibo anche per il bambino.
Lui mi dice: i bambini mangiano solo caramelle.

Due giorni dopo vado in un paese distante 40km, e quando torno, dico a Tyler che forse è ora di farci sentire dai genitori per il riscatto. Ne parlano già sui giornali e in televisione.
Lui mi dice: si vede che non ti ha mai rapito nessuno.

Tre giorni dopo Tyler butta una manciata di caramelle al bambino che ha iniziato a chiamare Charlie.
Poi esce a comprare da mangiare.
Charlie l’ha visto in faccia e ha cominciato a piangere.
Lo odio quando si affaccia dentro la botola con la faccia.
Da solo mentre ascolto i singhiozzi e le urla di Charlie mi chiedo se io e Tyler non dovremmo stare da un’altra parte nel caso qualcuno venisse a cercarci qui.
Prima che Tyler uscisse gli ho detto: non farti seguire.
Gli ho detto di stare attento.
Solo che lui non sta attento e quando torna glielo dico.
Ti sei fatto seguire, gli dico.
Gli dico che ne sono sicuro. Gli dico che ci stanno osservando, me lo sento.
E poi che ci facciamo qui, dico. Che ci facciamo qui con Charlie?
Ci sono i genitori che lo cercano, e ci troveranno, gli dico, ci uccideranno o moriremo in galera.
Gli dico che stanno arrivando.
E questa è solo colpa tua, colpa tua che ti sei fatto seguire,dico.
Tyler aspetta sempre il suo turno per parlare, ma questa volta io lo zittisco con una sassata in testa prima che possa replicare.
Non ti avrei ascoltato comunque, gli dico.
È svenuto. Io apro la botola e dentro c’è il piccolo Charlie che urla e piange.
Sta zitto!- gli dico.
E svuoto tutte le buste di caramelle che trovo nella stanza e tutto quello che trovo nella stanza nella fossa.
Poi prendo Tyler e lo lancio nella fossa. Il bambino non urla più.
Poi scendo, sistemo la scala e richiudo la botola.
Dico: dentro questa fossa non ci troveranno.
Quando si sveglia Tyler non è d’accordo con me. Apre gli occhi.
Io lo vedo perché i miei, di occhi, si sono già abituati al buio.
Ma i suoi no. Si alza e inizia a toccare le pareti con le mani, quando capisce dove siamo leggo la paura nel suo volto. Mi trova d’istinto e mi afferra per la gola, mi sbatte ad una parete e mi dice: che cazzo stai facendo?
Urla: fammi uscire!
Io afferro un sasso e lo colpisco in testa.
Gli dico: non si può parlare con te!

Quando si sveglia il bambino inizia a piangere.
Dice che ha fame e sete. Io scarto due caramelle, Charlie puzza da morire.
Gli metto in bocca le caramelle e mentre penso a quante volte se l’è fatta addosso, gli tocco la testa con un sasso e lui sviene.
Poi penso a quante volte se l’è fatta addosso Tyler, e penso: fra quanto ci troveranno?
Dico: da quanto tempo siamo qui?
Mangio due caramelle e nessuno mi risponde.
Penso che se qualcuno ci avesse seguito forse ci avrebbe già trovato.
Poi penso che forse sono fuori che aspettano che noi usciamo.
Più che altro penso a stare calmo, e che avrei bisogno di una striscia.

Non so quanto tempo è passato, ma ho zittito non so più quante volte i miei due bambini con un sasso sulla testa. Le caramelle cominciano a scarseggiare.
Tyler ogni volta che si sveglia urla paura, io lo faccio stare zitto.
Ma la cosa non mi fa più ridere.
Voglio uscire da qui.Da questa fossa.Il bambino, il più piccolo dei due, Chiarlie, si sveglia e comincia a dire: ho fame. Mentre lo dice si struscia addosso a me come un gatto. Così io prendo il solito sasso e comincio a sbatterlo molto forte sulla testa di Tyler che nel frattempo sta dormendo.
Poi metto una pietra in mano a Charlie e lui, neanche devo dirglielo.
Comincia a sbatterla molto forte sulla testa di Tyler che nel frattempo sta dormendo.
Dopo un po’ a Charlie dico: hai visto anche tu, qua dentro riusciva solo a diventare matto per la paura.
Gli dico: hai visto.
Gli dico che dentro questa fossa Tyler era solo uno schizzato.
E poi alle croste intorno agli occhi del bambino dico: e fuori da qui..era solo una testa di cazzo.
Un bastardo, gli dico.
Lo guardo, Tyler steso a terra in una posizione che non capiresti mai se qualcuno tentasse di spiegartela dopo aver visto qualcuno da lontano steso a terra in quella stessa posizione, guardo la sua testa.
La testa di Tyler.
Mi giro verso Charlie e dico: guarda, non sembra che l’abbiano masticata?
Non smetto di guardarla. Charlie mi si avvicina e mi abbraccia.
Io ringhio per mandarlo via e i miei denti che rimangono attaccati al suo braccio mi fanno pensare a quelli di Tyler il giorno che mi ha morso.
Quando si staccano, i miei denti, ne stanno masticando un pezzo. Di braccio.
E Charlie si è lanciato nell’angolo più lontano da me.
È mentre ascolto da solo i singhiozzi e le sue urla che mi accorgo di avere fame, e allora cerco il coltello che so di trovare dentro la fossa. Anche Charlie ha fame,anche se non lo dice.
Io gli porgo un pezzo di Tyler e smette di piangere, il piccolo.
E il sangue ha un odore che non ti immagineresti mai se stessi guardando la scena da lontano o se te la stessero raccontando.
Lo sentiamo anche se non lo diciamo, io e Charlie, l’odore del sangue, mentre mangiamo contenti.
Come due bambini.
Mangiamo ognuno il suo pezzo di Tyler.
E la cosa mi fa ancora ridere.
Lo allargo, il mio sorriso che sa di specchiarsi negli occhi di Charlie.
Mi chiedo da quanto tempo non mi faccio una striscia. Da quanto tempo non mi faccio una striscia?
Ucciderei per una striscia.


Quando mi sveglio vedo un accendino e uno spinello che bisogna dirlo, sembrano essere li apposta per me.
Ma so che non è così. A Charlie ancora sorrido mentre sfioro la sua testa con il sasso.
Gli lascio lo spinello e l’accendino e dico: Questo però devi fumarlo, sennò poi non è più buono.
Mi dico che lo fumerà. Mi dico: al risveglio comincerà a fargli male il braccio e fumerà.
Apro la botola e la luce del sole mi brucia gli occhi.
Sono in macchina che guido verso casa.
Ai miei colleghi dirò di andare a recuperare il bambino, gli dirò dov’è nascosto e che devono riportarlo ai genitori e dare la notizia alla stampa.
Ai miei colleghi in divisa blu.
Troveranno Charlie.
Troveranno Tyler. Che non era uno sbirro.
Era il bastardo che mi seguiva da cinque mesi.
Ora sono libero, senza quello schizzato che mi spia e pedina ogni mio passo di nascosto.
In macchina, mentre guido verso casa a voce alta mi dico: gli sbirri vincono sempre.

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martedì 8 marzo 2011

CAINO E ABELE


E caino disse all’eterno che il suo castigo era troppo grande perché potesse sopportarlo. Sarebbe stato vagabondo e fuggiasco per la terra e chiunque l’avesse trovato l’avrebbe ucciso.

Quando sentì la sua maledizione, Caino non pensò che i suoi genitori erano i primi uomini creati dall’eterno, pensò che chiunque trovandolo l’avrebbe ucciso.
Quando sentì la sua maledizione Caino fu preso dalla paura di poter morire dilaniato dai freaks di quei tempi, gli Adami ed Eve usciti male, frutto degli esperimenti precedenti dell’eterno.
Gli emarginati della genesi. Gli elephant man, i John Merrick del principio.
In due parole: i dinosauri.
Ma forse a uccidere Caino saranno i suoi genitori. O forse lo stesso eterno.
“sicuramente i miei genitori” pensò Caino.
Eva, sua madre, aveva detto “ho acquistato un uomo con l’aiuto dell’Eterno”, questo dopo aver concepito e partorito Caino.
Caino ora condannato a errar lungi dalla terra, dalla terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di Abele dalla mano di Caino.
L’Eterno aveva detto a Caino: quando coltiverai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti, e tu sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra”. Era così che l’eterno aveva maledetto Caino.
Anni prima Adamo conobbe Eva, sua moglie.
Eva acquistò un uomo. Poi ne acquistò un altro: Abele.
Caino era un lavoratore della terra.
Il Caino precedente era frutto di un esperimento precedente dell’Eterno.
Forse nell’esperimento precedente nulla era andato storto.
Il Caino precedente era un dinosauro molto carino. Ma l’Eterno finì per stancarsi di Ca-r-ino e dei suoi amici dinosauri del paese di Nod.
Così aveva creato i nuovi Adamo ed Eva e così via.
Il nuovo Caino, un essere umano molto carino, essendo un lavoratore della terra aveva offerto all’Eterno frutti della terra. Ma l’Eterno si annoiava già.
Anche quel giorno, come ogni volta che la nube di noia cominciava a soffocarlo, l’Eterno, aveva messo le mani in tasca, aveva afferrato una pastiglia di peccato e l’aveva grattugiata facendola cadere sulla terra come se fosse pioggia.
Il peccato atterrò, rimbalzò, s’insinuò nella mente di Caino.
Abele, fratello dell’essere umano carino, molto Caino, non era un lavoratore della terra.
Abele aveva un gregge di pecore.
Essendo umano, Caino, offrì all’eterno frutti del suo lavoro, frutti della terra.
Abele invece offrì all’Eterno primogeniti del grasso delle sue pecore e primogeniti, delle sue pecore.
Poco dopo il viso di Caino fu abbattuto.
Il viso di Caino scese giù, gradino dopo gradino, Caino dopo Caino, dal cranio di Caino, che rimase senza volto, molto simile a un dinosauro davvero carino.
L’Eterno aveva guardato con favore l’offerta di Abele, primogeniti di primogeniti di pecore primogenite, ma non l’offerta di Caino, frutti della terra.
Per questo il viso di Caino fu abbattuto.
L’Eterno l’aveva fatto per far insinuare, piovere meglio,il peccato nella mente di Caino.
La pastiglia di peccato aveva calato il cervello di Caino. E il viso di Caino era abbattuto.
L’Eterno disse a Caino “perché hai il volto abbattuto? Se fai bene non rialzerai il tuo volto?”
Ma Caino si levò contro suo fratello e lo uccise.
E la terra aprì la bocca per ricevere il sangue di Abele dalla mano di Caino.
Caino si addormentò sotto un albero, a pochi passi dal corpo del fratello, di cui la terra digeriva il sangue, mentre lentamente in lui svaniva l’effetto della pastiglia di peccato.
Eppure l’eterno aveva avvertito Caino: “il peccato sta spiandoti dalla porta e i suoi desideri son volti a te”.
L’Eterno come ogni giorno, il giorno dopo, il giorno dopo che Caino uccise suo fratello, suo fratello Abele, poco carino, dopo che Caino ebbe dormito sotto un albero e dopo che dell’effetto del peccato insinuatosi in Caino non ci fu più traccia, dopo tutto questo, l’Eterno come ogni giorno disse: “luce”. E luce fu.
La luce svegliò Caino e l’Eterno disse a Caino “dov’è tuo fratello Abele?”
Ed egli rispose “non lo so. Son forse io il padrone di mio fratello?”
Rispose stiracchiandosi e tirandosi in piedi, Caino.
E l’Eterno disse “che hai tu fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra.”
Fu allora che Caino guardandosi intorno vide il corpo dilaniato di suo fratello.
Abele, così martoriato, molto simile a un dinosauro poco carino.
Dopo un po’ Caino disse all’Eterno, che nel frattempo aveva continuato a parlare, gli disse “ripeti”.
E l’eterno ripeté quella che era la sua maledizione.
Caino pensò che tutto fosse in qualche modo collegato col mal di testa che sentiva da quando si era svegliato, anche perché era l’unica cosa a cui riusciva a pensare.
E disse all’Eterno “il mio castigo è troppo grande perché io lo possa sopportare. Ecco tu mi scacci oggi dalla faccia di questo suolo ed io sarò nascosto dal tuo cospetto, e sarò vagabondo e fuggiasco per la terra e avverrà che chiunque mi troverà mi ucciderà.”
Allora l’eterno, affinché Caino non potesse essere ucciso dal dinosauro Ca-r-ino, o da un suo simile, disse “chiunque ucciderà Caino sarà punito sette volte più di lui” e prima di lasciarlo andare a vivere come esiliato insieme a Carino e ai suoi amici dinosauri, l’eterno mise un marchio su Caino affinché nessuno trovandolo lo uccidesse.
Fu così che caino con la faccia senza viso e senza faccia, partì per il paese di Nod, il paese dei dinosauri.
Settantamilasettantasette anni dopo, un mezzo dinosauro di nome Lamec, disse alle sue mogli Ada e Zilla, “ascoltate la mia voce”
Lamec, discendente dal sangue del sangue di caino e dal sangue di una dinosaura molto carina, disse rivolgendosi alle sue mogli Ada e Zilla, dinosaure poco carine: “si ho ucciso un uomo perché mi ha ferito e un giovane perché mi ha contuso. Se caino sarà vendicato sette volte, Lamec sarà vendicato settantasette volte”
E così l’Eterno mise un marchio su Lamec, affinché chiunque trovandolo lo mangiasse.

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