venerdì 11 marzo 2011

CHARLIE

Sono due mesi che mi segue, il bastardo.
Mi giro di scatto, sicuro di prenderlo alla sprovvista, ma anche questa volta è troppo veloce.
Fa sempre in tempo a nascondersi e io non riesco mai vederlo in faccia.
Forse è un poliziotto, è maledettamente veloce il bastardo. E io non riesco mai a vederlo in faccia.
È da più di due mesi che mi segue e a volte è frustrante.
Anche ora, sento la sua presenza alle mie spalle, mi giro ma non lo vedo. Dev’essere nascosto dietro quelle piante. Per seminarlo entro nell’ascensore, sicuro di fargli perdere le mie tracce. Le porte si richiudono subito dopo di me. Nell’ascensore, con la faccia schiacciata nell’angolo, un uomo ripete velocemente parole incomprensibili a bassa voce come se stesse pregando.
Quando l’ascensore si ferma all’ultimo piano non scende. Si aprono le porte, ma lui continua a ripetere parole basse con voce veloce come se stesse pregando.
Io schiaccio il tasto “terra”.
Nel giro di dieci piani l’ascensore si riempie e si svuota, lui non si muove. E al piano terra, quando si riaprono le porte, siamo di nuovo soli. E lui sta ancora li, nell'angolo, che parla di nascosto.
Premo ancora il tasto 10.
Quando l’ascensore si ferma al settimo piano lui si gira e butta la sua paura addosso ai miei occhi.
Mi afferra con un braccio e mi porta fuori dalla scatola che viaggia tra tetto e sottosuolo.
Pensavo di farcela questa volta, mi dice.
Io mi giro a guardare se il bastardo mi sta ancora seguendo.
Conosco gente che usa le sue paure come una droga, mi dice, adrenalina pura.
Io, dice, sono tra i tanti che provano a superarle.
Mi dice che se anche ci riesce una volta, poi la volta dopo deve ricominciare da capo.
Mi manca l’aria nei posti chiusi,dice.
Quando me lo dice mi sta ancora stringendo con un braccio, all’altezza dello stomaco.
Gli occhi,le sue occhiaie sotto non ci metto quasi niente a catalogarle: nel bagno non si mette a pregare in un angolo quando gli offro qualche tiro di coca.
Gli dico di entrare dopo di me. Gli dico: è meglio, c’è uno che mi segue da quattro mesi.
Non credo sia uno sbirro, ma entra dopo di me, gli dico.
Lui dice: certo.
Poi entra insieme a me.
E tu di che paura soffri? Mi dice.
Io rispondo “nessuna” naturalmente, però conosco uno che gioca con le sue vertigini.
Anche io, mi dice, ma solo quando è ubriaco, scala posti altissimi, dice che le vertigini sommate a quelle della sbornia lo fanno stare in equilibrio. Lo fanno sentire sicuro e concentrato, dice.
Quando scende la sbronza gli è quasi sempre passata, mi dice.

Dopo tre tiri di coca siamo in un bar a bere birra e ogni tanto andiamo in bagno a farne un altro, di tiro.
Questa volta l’ho convinto ad andare a turno.
Anche se credo che per oggi il bastardo abbia già dato.
Non si può mai sapere, penso, è veloce e non l’ho ancora visto in faccia.
Seduti al tavolo mi dice: non ti senti come in “fight club” quando Tyler e Tyler sono in quel bar a bere birra e stanno per dare inizio a qualcosa di fantastico?
Gli chiedo se ha qualche idea.
Ma prima gli chiedo se ha intenzione di lottare fuori dal bar o se ognuno deve picchiarsi per conto suo.
Mi dice:un mio amico lavora in un villaggio turistico sulla costa Smeralda.
Mi dice: un matto, un tipo suscettibile di quelli che quando non trovano un motivo per dare inizio alla violenza se lo inventano.
Mi dice: hai presente Begbie di trainspotting? Dice: immagina se avesse una seria dipendenza dalla cocaina.
Mi dice: ora immagina uno così che ti chiede:hai bisogno di soldi? E poi ti dice: È arrivato uno al villaggio, dev’essere uno importante, sempre pieno d’oro anche quando nuota in piscina, ha un bambino di otto anni che lascia gironzolare spesso da solo. Mi ha detto: Non sa che siamo nella terra dei banditi?Non sa che siamo nella terra dei sequestri?
Ora, riesci a immaginare uno così che ti dice una cosa del genere?
Mi dice: non lo conosci questo tipo, potrebbe a tagliare orecchie per puro divertimento.
Io dico: facciamolo.

Siamo in macchina. Io, Tyler, è così che abbiamo cominciato a chiamarci tra di noi, e il bambino.
L'amico di Tyler, Begbie, ci ha fatto da spalla all’interno del villaggio. Poi il giorno prima del rapimento Tyler, gli ha dato 10.000 euro in contanti che si è fatto prestare. Dalla banca, mi ha detto.
così ce lo leviamo di torno, se sa dove siamo ci sputtana come niente, è imprevedibile, ha detto Tyler.
Io non gli ho chiesto due volte dove ha preso i soldi.
Siamo in macchina e stiamo portando il bambino dentro una fossa che ,bisogna dirlo,è già pronta per lui da qualche giorno. Abbiamo impiegato una settimana per scavarla, sotto la capanna di pietra dove viveva il nonno di Tyler.
sono orfano, mi ha detto Tyler mentre stavamo scavando, mio nonno mi ha praticamente cresciuto, e nonostante avesse bisogno di aiuto per mantenere il gregge, mi ha sempre fatto andare a scuola.
Tyler mi ha detto: l’ho trovato morto sette anni fa.
proprio qui, ha detto, inchinandosi per toccare un punto nel pavimento con un dito.
Poi mi ha detto: non tornavo a casa da un mese, stavo in giro con gli amici. Avevo diciannove anni.
Girava parecchia coca quel periodo tra gli amici, li avevo tutti conosciuti a scuola, ha detto Tyler.
Io ho continuato a scavare, lui mi ha parlato di suo nonno: viveva in questa capanna con le sue pecore da quando era morta la moglie. Scendeva in paese solo per comprare il vino di fratello e qualche provvista.
Era ancora inchinato a toccare il pavimento, Tyler.
Io gli ho detto: alzati.
Poi quando è morto anche il fratello ha smesso di bere, così ha detto Tyler.
La fossa l'abbiamo ricoperta con delle travi di legno lasciando lo spazio per una botola larga abbastanza per una scala e una persona. Prima di chiudere la botola ci siamo fatti una striscia e poi ho fatto finta di buttare Tyler giù nel fosso. Lui si è girato di scatto e mi ha morso un braccio.

Ce l’ho ancora fasciato. Il braccio, ora che siamo in macchina e stiamo portando il bambino dentro la fossa che, bisogna dirlo, è già pronta per lui da qualche giorno.
Come si chiama? Chiedo.
Chi, mi dice.
Il bambino, dico io.
Non lo so e tu?
No.
Buttiamo il bambino dentro il fosso e buttiamo dentro anche un po’ di caramelle e uno spinello che, bisogna dirlo, Tyler ha comprato apposta per lui.
E anche un accendino.
Noi ce ne stiamo al piano superiore per la maggior parte del tempo a tirare cocaina.
Io dico a Tyler che dovremmo andare a prendere un po’ di cibo anche per il bambino.
Lui mi dice: i bambini mangiano solo caramelle.

Due giorni dopo vado in un paese distante 40km, e quando torno, dico a Tyler che forse è ora di farci sentire dai genitori per il riscatto. Ne parlano già sui giornali e in televisione.
Lui mi dice: si vede che non ti ha mai rapito nessuno.

Tre giorni dopo Tyler butta una manciata di caramelle al bambino che ha iniziato a chiamare Charlie.
Poi esce a comprare da mangiare.
Charlie l’ha visto in faccia e ha cominciato a piangere.
Lo odio quando si affaccia dentro la botola con la faccia.
Da solo mentre ascolto i singhiozzi e le urla di Charlie mi chiedo se io e Tyler non dovremmo stare da un’altra parte nel caso qualcuno venisse a cercarci qui.
Prima che Tyler uscisse gli ho detto: non farti seguire.
Gli ho detto di stare attento.
Solo che lui non sta attento e quando torna glielo dico.
Ti sei fatto seguire, gli dico.
Gli dico che ne sono sicuro. Gli dico che ci stanno osservando, me lo sento.
E poi che ci facciamo qui, dico. Che ci facciamo qui con Charlie?
Ci sono i genitori che lo cercano, e ci troveranno, gli dico, ci uccideranno o moriremo in galera.
Gli dico che stanno arrivando.
E questa è solo colpa tua, colpa tua che ti sei fatto seguire,dico.
Tyler aspetta sempre il suo turno per parlare, ma questa volta io lo zittisco con una sassata in testa prima che possa replicare.
Non ti avrei ascoltato comunque, gli dico.
È svenuto. Io apro la botola e dentro c’è il piccolo Charlie che urla e piange.
Sta zitto!- gli dico.
E svuoto tutte le buste di caramelle che trovo nella stanza e tutto quello che trovo nella stanza nella fossa.
Poi prendo Tyler e lo lancio nella fossa. Il bambino non urla più.
Poi scendo, sistemo la scala e richiudo la botola.
Dico: dentro questa fossa non ci troveranno.
Quando si sveglia Tyler non è d’accordo con me. Apre gli occhi.
Io lo vedo perché i miei, di occhi, si sono già abituati al buio.
Ma i suoi no. Si alza e inizia a toccare le pareti con le mani, quando capisce dove siamo leggo la paura nel suo volto. Mi trova d’istinto e mi afferra per la gola, mi sbatte ad una parete e mi dice: che cazzo stai facendo?
Urla: fammi uscire!
Io afferro un sasso e lo colpisco in testa.
Gli dico: non si può parlare con te!

Quando si sveglia il bambino inizia a piangere.
Dice che ha fame e sete. Io scarto due caramelle, Charlie puzza da morire.
Gli metto in bocca le caramelle e mentre penso a quante volte se l’è fatta addosso, gli tocco la testa con un sasso e lui sviene.
Poi penso a quante volte se l’è fatta addosso Tyler, e penso: fra quanto ci troveranno?
Dico: da quanto tempo siamo qui?
Mangio due caramelle e nessuno mi risponde.
Penso che se qualcuno ci avesse seguito forse ci avrebbe già trovato.
Poi penso che forse sono fuori che aspettano che noi usciamo.
Più che altro penso a stare calmo, e che avrei bisogno di una striscia.

Non so quanto tempo è passato, ma ho zittito non so più quante volte i miei due bambini con un sasso sulla testa. Le caramelle cominciano a scarseggiare.
Tyler ogni volta che si sveglia urla paura, io lo faccio stare zitto.
Ma la cosa non mi fa più ridere.
Voglio uscire da qui.Da questa fossa.Il bambino, il più piccolo dei due, Chiarlie, si sveglia e comincia a dire: ho fame. Mentre lo dice si struscia addosso a me come un gatto. Così io prendo il solito sasso e comincio a sbatterlo molto forte sulla testa di Tyler che nel frattempo sta dormendo.
Poi metto una pietra in mano a Charlie e lui, neanche devo dirglielo.
Comincia a sbatterla molto forte sulla testa di Tyler che nel frattempo sta dormendo.
Dopo un po’ a Charlie dico: hai visto anche tu, qua dentro riusciva solo a diventare matto per la paura.
Gli dico: hai visto.
Gli dico che dentro questa fossa Tyler era solo uno schizzato.
E poi alle croste intorno agli occhi del bambino dico: e fuori da qui..era solo una testa di cazzo.
Un bastardo, gli dico.
Lo guardo, Tyler steso a terra in una posizione che non capiresti mai se qualcuno tentasse di spiegartela dopo aver visto qualcuno da lontano steso a terra in quella stessa posizione, guardo la sua testa.
La testa di Tyler.
Mi giro verso Charlie e dico: guarda, non sembra che l’abbiano masticata?
Non smetto di guardarla. Charlie mi si avvicina e mi abbraccia.
Io ringhio per mandarlo via e i miei denti che rimangono attaccati al suo braccio mi fanno pensare a quelli di Tyler il giorno che mi ha morso.
Quando si staccano, i miei denti, ne stanno masticando un pezzo. Di braccio.
E Charlie si è lanciato nell’angolo più lontano da me.
È mentre ascolto da solo i singhiozzi e le sue urla che mi accorgo di avere fame, e allora cerco il coltello che so di trovare dentro la fossa. Anche Charlie ha fame,anche se non lo dice.
Io gli porgo un pezzo di Tyler e smette di piangere, il piccolo.
E il sangue ha un odore che non ti immagineresti mai se stessi guardando la scena da lontano o se te la stessero raccontando.
Lo sentiamo anche se non lo diciamo, io e Charlie, l’odore del sangue, mentre mangiamo contenti.
Come due bambini.
Mangiamo ognuno il suo pezzo di Tyler.
E la cosa mi fa ancora ridere.
Lo allargo, il mio sorriso che sa di specchiarsi negli occhi di Charlie.
Mi chiedo da quanto tempo non mi faccio una striscia. Da quanto tempo non mi faccio una striscia?
Ucciderei per una striscia.


Quando mi sveglio vedo un accendino e uno spinello che bisogna dirlo, sembrano essere li apposta per me.
Ma so che non è così. A Charlie ancora sorrido mentre sfioro la sua testa con il sasso.
Gli lascio lo spinello e l’accendino e dico: Questo però devi fumarlo, sennò poi non è più buono.
Mi dico che lo fumerà. Mi dico: al risveglio comincerà a fargli male il braccio e fumerà.
Apro la botola e la luce del sole mi brucia gli occhi.
Sono in macchina che guido verso casa.
Ai miei colleghi dirò di andare a recuperare il bambino, gli dirò dov’è nascosto e che devono riportarlo ai genitori e dare la notizia alla stampa.
Ai miei colleghi in divisa blu.
Troveranno Charlie.
Troveranno Tyler. Che non era uno sbirro.
Era il bastardo che mi seguiva da cinque mesi.
Ora sono libero, senza quello schizzato che mi spia e pedina ogni mio passo di nascosto.
In macchina, mentre guido verso casa a voce alta mi dico: gli sbirri vincono sempre.

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